Quattro modi per combattere l’amarezza

 

 

 

Una giovane donna mi ha chiesto un incontro per aiutarla a comprendere come affrontare l’amarezza. È stata ferita da un credente con accuse offensive e aperta ipocrisia. Sebbene siano passati mesi, si è accorta che l’amarezza verso questa persona continuava a riaffiorare nei suoi pensieri.

 

Potevo capirla. Molti anni fa mi trovai in una situazione simile quando la mia integrità fu ingiustamente messa in discussione da un fratello. Avevo sempre pensato che i nemici che Gesù mi chiedeva di amare fossero persone etichettate come tali perché non credenti o perché mi facevano impazzire. Credevo che un nemico fosse qualcuno che io sceglievo, e la maggior parte dei giorni non avevo nessuno su quella lista.

 

Improvvisamente però mi sono imbattuta nella verità che invece poteva essere il mio nemico a scegliere me, dal nulla, mentre io vivevo normalmente la mia vita; nonostante i miei migliori sforzi di vivere in pace con tutti gli uomini, qualcuno poteva scegliere di essermi nemico. E quel qualcuno poteva anche essere un credente. Questo per me fu un nuovo tipo di ferita, per il quale fui tentata di rifugiarmi profondamente nell’amarezza.

 

Ecco cosa volevo durante quel periodo: volevo che il mio avversario fosse portato alla giustizia. Volevo che la mia versione della storia fosse ascoltata e le mie ferite fossero conosciute. Volevo vendetta davanti a coloro che avevano sentito messa in discussione la mia integrità, non l’indomani o l’anno dopo, ma immediatamente.

 

Questo non successe. Poiché Dio è migliore verso di me di quello che io mi merito, non successe niente di quello che volevo, e in quella stagione di “assenzio e veleno” (Lamentazioni 3:19) Egli mi ha insegnato verità che non avrei altrimenti ricercato.

Ecco alcune verità che bloccano l’amarezza, alle quali ho imparato ad aggrapparmi:

 

1. Dio conosce la vera storia

Dio conosceva già ogni giustificazione che volevo innalzare. Non avevo bisogno di correggerlo. Egli conosceva entrambe le versioni della storia perfettamente e, cosa più importante, conosceva la verità che giaceva da qualche parte lì nel mezzo.

 

Il mio senso di urgenza di ripulire il mio nome fu, almeno nel mio caso, fuori luogo e autonomo. Perciò, invece di combattere per far sì che la mia versione della storia fosse conosciuta, ho imparato a lasciare che le mie parole fossero poche. E ho chiesto a Dio di mostrarmi dove avevo offuscato la verità per alleviare il mio dolore o minimizzare il mio peccato.

 

2. Dio vede il cuore del mio avversario e il mio

Quando il mio dolore è sbocciato, ho iniziato a trovare conforto nella speranza che, essendo la parola di Dio degna di fiducia, un giorno il peccato del mio avversario sarebbe stato portato alla luce. Trovavo pace nel sapere che la giustizia sarebbe stata un giorno fatta, anche se non durante questa vita.

 

Mi ci è voluto un po’ per realizzare che in quel giorno il mio stesso peccato sarebbe stato pienamente rivelato. Possiamo tutti fare affidamento sul fatto che il giusto giudice farà il suo lavoro. Un giorno il peccato del mio avversario sarà conosciuto, e così lo sarà anche il mio. In quel giorno io mi aggrapperò alla grazia del mio Signore. Lo supplicherò per ottenerla, anche se non la merito. Se non faccio altrettanto per il mio nemico, sono un ipocrita della peggior specie. Così invece di essere sollevato dal fatto che sarà fatta giustizia, ho iniziato piuttosto a pregare affinché il mio nemico riceva grazia.

 

3. Anch’io ho causato dolore

Posso non aver fatto niente per meritarmi questo particolare dolore, ma certamente ho causato simili ferite ad altri, in modo consapevole o meno. Quindi, invece di sentirmi superiore al mio nemico, ho iniziato a sviluppare empatia. E ho iniziato a chiedere a Dio di mostrarmi i miei peccati verso gli altri.

 

C’è solo una persona che ha sofferto ingiustamente (nel senso più profondo del termine), e questa persona è Cristo. Il resto di noi può essere stato trattato ingiustamente da un altro, ma mai senza la colpa di aver a nostra volta ferito qualcun altro in qualche momento della vita. Così, quando soffriamo ingiustamente, possiamo essere ammaestrati dal modo in cui subì Cristo. Quando fu falsamente accusato e condannato dal suo stesso popolo, egli rimase in silenzio. Egli “si rimetteva a colui che giudica giustamente” (1 Pietro 2:23). Quando infine parlò (dopo che il verdetto ingiusto fu emesso) fu un’invocazione non contro, bensì a favore dei suoi oppressori.

 

Pensa a questo: non siamo mai più simili a Cristo di quando soffriamo ingiustamente per mano di coloro che dovrebbero amarci di più. Proclamiamo di volerci conformare all’immagine del Figlio. E se servisse questo tipo di sofferenza per raggiungerla? Perciò, invece di chiedere perché Dio permetta queste ingiustizie, ho iniziato a chiedergli di usare ogni pezzetto della sofferenza per modellarmi a immagine del Salvatore.

 

4. Devo rifiutare il boccone amaro

La Bibbia parla dei nostri periodi di dura prova come stagioni di assenzio e veleno, di erbe amare e bile, momenti che lasciano un persistente gusto di risentimento nelle nostre bocche se ce ne cibiamo abbondantemente. Forse la più grande tentazione in una stagione amara, è ingoiare il veleno che ci circonda, farlo penetrare nelle nostre anime e ospitarlo lì, gridando affinché sia fatta giustizia. Prove amare possono circondarci, ma non dobbiamo permettere che il loro pungiglione acido entri in noi. Possiamo scegliere di rifiutare il boccone amaro quando è vicino alle nostre labbra.

 

Vediamo un’immagine di questa verità al Golgota. Mentre si adempiva la sentenza di morte (approvata da coloro che avrebbero dovuto amarlo di più), Gesù urlò assetato e gli fu offerto fiele per dissetarsi. Egli voltò il viso dall’altra parte. Gli studiosi si dividono sul perché. Forse gli fu offerto in modo misericordioso per accorciare la sua vita avvelenandolo, o forse fu offerto come analgesico per diminuire le sue angosce fisiche. Ma Gesù non era disposto ad accorciare o diminuire neanche di una piccola quantità la sofferenza che era stata stabilita. Egli arrivò determinato a compiere la volontà del Padre. Nella prova più dura della sua incarnazione, Cristo rifiutò che il boccone amaro raggiungesse le sue labbra.

 

Tu ed io pensiamo erroneamente che ingoiare amarezza soddisferà il nostro dolore, ma Cristo ci ha mostrato una via migliore. In tutte le sofferenze ci verrà offerto del veleno. Noi che abbiamo bevuto dalla coppa della vita non dobbiamo cercare conforto nel liquido mortale. Come Cristo, lo dobbiamo rifiutare. L’amara sete dell’ingiustizia è soddisfatta solo con l’acqua viva del vangelo. Nei nostri periodi di assenzio e veleno possiamo abbeverarci profondamente e spesso dal suo fiume, scambiando l’amarezza con la speranza, l’amore saldo e la grazia che non ha mai fine, per noi e per coloro che ci offendono.

 

Ricòrdati della mia afflizione, della mia vita raminga, dell’assenzio e del veleno!
Io me ne ricordo sempre, e ne sono intimamente prostrato.
Ecco ciò che voglio richiamare alla mente, ciò che mi fa sperare:
è una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti; le sue compassioni infatti non sono esaurite,
si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà!
«Il Signore è la mia parte», io dico, «perciò spererò in lui».
(Lamentazioni 3:19-24)

 

 

(Traduzione a cura di Paola Rochira)

 

 

Tematiche: Crescita spirituale, L'amore di Dio, Vita Cristiana

Jen Wilkin

Jen Wilkin

È sposata e mamma di quattro figli.Si occupa delle iniziative per le donne nella sua chiesa di appartenenza presso la The Village in Texas, ed è insegnante e oratrice anche in contesti para ecclesiali. È autrice di vari libri tra cui: Nessuno come Lui, (prossimamente da Coram Deo).

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