Quanto costa una chiesa sana?
Successo e fallimento nel ministero
I risultati visibili non sono il metro di giudizio adatto al nostro ministero, il che fa emergere una domanda scomoda: e se i risultati immediati non sono quelli che avevi previsto?
Che cosa succede se, in una svolta oscura della provvidenza di Dio, la tua fedeltà comincia ad assomigliare a ciò che il mondo chiamerebbe fallimento? E se nonostante la tua fedeltà e la tua pazienza, le persone continuano a ignorare la tua leadership, ad abbandonare la chiesa, non si vedono nuovi convertiti, o il Vangelo genera più conflitti in chiesa di quanto ti aspettavi? Cosa succede se quel leader problematico continua a minacciarti o progetta di escluderti perché segui una (saggia) guida?
Naturalmente, anche i leader fedeli possono sempre crescere, quindi probabilmente ci sarà di continuo un po’ di ricerca.
Nessun pastore è senza peccato. Se la crescita numerica o il progresso evangelistico rimangono sfuggenti, non stancarti e non arrenderti. Il Vangelo è ancora la potenza salvifica di Dio, e continua ad operare in te e nelle persone intorno a te. Gesù è ancora il tuo Buon Pastore, ed Egli sa cosa vuol dire vivere una vita in fedeltà e senza peccato e non vedere il risultato sperato. I Suoi migliori amici – la dinamica dozzina! – l’hanno abbandonato sul più bello. Uno lo tradì, un altro negò più volte di conoscerlo, e un altro ancora scappò via nudo (Marco 14:50-52). Gesù morì come il peggiore dei criminali.
Non c’è da meravigliarsi della preghiera del servo sofferente: «Invano ho faticato, per nulla e inutilmente ho speso la mia forza; certamente però il mio diritto è presso l’Eterno e la mia ricompensa presso il mio DIO». (Isaia 49:4).
Gesù sentiva e pensava questo, e così pregava; e probabilmente, se Lo segui, lo farai anche tu. Allo stesso modo, Paolo fu trattato come un nemico da alcune delle chiese che aveva fondato (Galati 4:16), e nessuno di quelli che si erano convertiti grazie a lui si presentò alla sua prima pubblica difesa per supportarlo, neanche uno (II Timoteo 4:16). Eppure nessuno di noi pensa a Gesù o Paolo come a dei falliti, giusto?
Non fraintenderci. Non vogliamo incoraggiarti a mettere in pratica una leadership che causi conflitti non necessari. Sii saggio e gentile allo stesso tempo. Conosci il tuo contesto, la tua congregazione, e adattati, per quel che puoi. Non c’è virtù nel soffrire solo perché hai parlato prima di aver ascoltato (Prov. 18:13).
La pazienza è il conservante di un pastore. Inoltre, il fatto che tu segua una guida saggia non significa necessariamente che finirai per curare una chiesa di migliaia di membri nel centro città. Ciò non significa che non stai lavorando bene o che il tuo ministero sta fallendo! Dio può usare qualsiasi tipo di pastore in qualsiasi tipo di posto, in chiese di ogni dimensione. Non tutti i percorsi pastorali e non tutte le chiese locali prospereranno come vogliamo o come ci aspettiamo. Dio non promette mai ai suoi servitori i riflettori della celebrità o quello che il mondo chiama “successo”.
Ricordi ciò che Dio dice a Baruch in Geremia 45:5? “E tu cercheresti grandi cose per te? Non cercarle perché, ecco, io farò venire sciagura sopra ogni carne», dice l’Eterno, «ma a te darò la tua vita come bottino in tutti i luoghi dove tu andrai”». Baruch voleva essere conosciuto come lo scriba che aveva servito il profeta che aveva cambiato la morale in Israele in modo che il popolo evitasse l’esilio, ritornasse a Dio e vedesse il rinnovamento del regno (possiamo dire che ci sono ambizioni peggiori) ma non fu così. Allo stesso modo, Elia pensava che la sua resa dei conti con i profeti di Baal potesse essere il grande punto di svolta per il popolo di Dio, ma rimase molto deluso dalla loro risposta al suo ministero.
Ne vale la pena
Non fraintenderci; siamo molto ottimisti riguardo al Vangelo e vogliamo che anche tu ti aspetti grandi cose da Dio. Sii forte e coraggioso! Ma non esistono scorciatoie verso grandi numeri o il successo nell’evangelizzazione, e non esistono esenzioni dai costi della croce. S
e ti impegni a costruire una chiesa fondata sul Vangelo, preparati a una vita e a un ministero a forma di croce, perché il Vangelo è il Vangelo della croce.
Stai prendendo la tua croce e seguendo Gesù. Chi cercherà di salvare la sua vita la perderà, ma chi perde la sua vita per il Vangelo di Cristo la troverà. Una chiamata per il Vangelo è una chiamata a morire al peccato, a se stessi, alle ambizioni egoiste, all’idolatrare i nostri successi e la nostra immagine. Se non hai sperimentato questo nel tuo ministero, forse non lo stai facendo nel modo giusto.
Ma ne vale la pena, perché c’è una speranza: la chiamata al ministero è una chiamata a quel tipo di morte che finisce sempre con la risurrezione (forse non nell’immediato, ma ci sarà). Non c’è gloria nella vita o nel ministero cristiano senza la sofferenza, neanche per Gesù (Filippesi 2:5-11). Ma se soffriamo con Lui, saremo anche glorificati con Lui (Romani 8:17). Nessuno di quelli che muoiono con Cristo e per Cristo sarà lasciato nella tomba. Egli innalza sempre il Suo popolo.
Prendiamo le parole di un vecchio apostolo: c’è una profonda comunione con Cristo anche in mezzo alla sofferenza, per non parlare della potenza della sua risurrezione (Filippesi 3:10-11). Soffrire con Cristo è uno dei più grandi privilegi del ministero cristiano, è indispensabile per piacere a Lui, ed è importante per la nostra fedeltà (Giovanni 12:24-26). La morte del nostro io nel ministero è ciò che Dio usa per dare vita agli altri. “Portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo; infatti, noi che viviamo siamo sempre esposti alla morte per amor di Gesù, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Di modo che la morte opera in noi, ma la vita in voi.” (II Corinzi 4:10-12).
Cristiani, aspettatevi la croce, e anche tante croci, nel ministero. E poi aspettatevi che Dio vi faccia risorgere, ancora e ancora. “Anzi, avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte, affinché non mettessimo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti.” (II Corinzi 1:9).
Gesù riproduce le Sue sofferenze in noi per riprodurre anche la Sua risurrezione di modo che gli altri, guardando noi, vedano la potenza di Cristo crocifisso e risorto.
È questo ciò per cui Pietro stava preparando le chiese nella sua prima epistola: la sofferenza e solo dopo, la gloria. Gesù è morto nella vergogna per risorgere nella gloria (I Pietro 1:18-21), perché anche noi morissimo al peccato e risuscitassimo nella giustizia. E ha sofferto, lasciandoci l’esempio, così che potessimo seguire i Suoi passi (I Pietro 2:22-24). Quei passi portano alla croce, ma grazie a Dio, non si fermano lì.
Traduzione a cura di Rebecca Iacone
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