Quando il virus sarà passato

 

Mentre duecentomila persone varcano la soglia dell’eternità e duecentomila famiglie avvertono il dolore per la perdita dei propri cari, la preghiera così scomoda di Mosè preme su ognuno di noi: “Insegnaci dunque a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio” (Salmo 90:12).

Insegnaci, o Dio, a vedere in queste duecentomila morti il prefigurarsi della nostra.

Insegnaci a capire che le nostre vite, per quanto possano esse lunghe, sono “come un sogno. Sono come l’erba che verdeggia la mattina; la mattina essa fiorisce e verdeggia, la sera è falciata e inaridisce” (Salmo 90: 5-6). E fai in modo che possiamo avere un cuore saggio. Così da poterci dedicare, mentre l’alito della vita è ancora in noi, all’unica opera che entrerà nell’eternità.

Alla fine del coronavirus, le persone più sagge non saranno quelle che hanno modificato i loro portfolio finanziari, neanche chi avrà fatto scorte di mascherine e di gel igenizzante in preparazione alla seconda ondata, ma chi avrà imparato a dire dal profondo del cuore: “Una vita soltanto, che presto passerà; solo quello che è stato fatto per Cristo rimarrà”.

 

Rendi stabile l’opera delle nostre mani

In quanto creature che possiedono l’eternità nell’anima (Ecclesiaste 3:11), siamo lente a imparare la lezione che la vita è solo un vapore. La vita sul momento sembra salda e garantita e spesso agiamo come se dovesse andare avanti così per sempre. E così, raramente, vediamo l’opera nelle nostre vite nella luce corroborante della brevità della vita.

Di certo le calamità avvicinano la morte. I mesi scorsi hanno acuito le parole del Salmo 90, facendoci focalizzare su una verità non piacevole: “Tu fai ritornare i mortali in polvere, dicendo: Ritornate, figli degli uomini…Tu li porti via come in una piena… Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira; finiamo i nostri giorni come un soffio” (Salmo 90:3,5,6).

Dopo la morte di più di decine di migliaia di persone (e in poco più di un mese), le parole di C.S. Lewis, sulla Seconda Guerra Mondiale, ci appaiono così reali:

 

La guerra non ha creato assolutamente nessuna situazione a noi nuova; semplicemente ha aggravato la situazione umana permanente, cosicché non possiamo più ignorarla. La vita umana è sempre stata vissuta sull’orlo del precipizio (“Learning in War Time, “49)

 

Abbiamo sempre vissuto sull’orlo di un precipizio pronto a crollare sotto i nostri piedi. La distruzione causata dal coronavirus è semplicemente un’anteprima di quello che un giorno accadrà a tutti noi e a tutto ciò che ci è caro. Alla fine nazioni ed economie, salute e relazioni soccomberanno a danno del tempo. La tignola e la ruggine distruggeranno il tesoro che credevamo al sicuro. La vita stessa, che fa germogliare l’erba al mattino, la farà appassire la sera.

Non c’è da stupirsi se Mosè termina le sue riflessioni sulla morte con una preghiera che è disperata: “La grazia del Signore nostro Dio sia sopra di noi e rendi stabile l’opera delle nostre mani; sì, l’opera delle nostre mani rendila stabile” (Salmo 90:17). Solo Dio può chiamare alla vita questi semi morenti e fargli portare frutto che dura per l’eternità.

 

La fatica nel Signore

Quando la pienezza dei tempi arrivò, Dio rispose alla preghiera di Mosè. Colui che “da eternità a eternità” (Salmo 90:2) ha fatto irruzione nel tempo e si è rivestito di terra, ha assaporato la sventura di una vita abbreviata ed è ritornato “alla polvere” come ogni figlio di Adamo.

Poi quest’uomo è risorto come primizia di una nuova creazione, libera dalla maledizione (I Corinzi 15:20,23). Ora, in Gesù Cristo, le nostre vite e la nostra fatica non sono spazzate via, ma stabilite fermamente: “Perciò fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (I Corinzi 15:58).

Al di fuori del Signore, le nostre fatiche più grandi sono in realtà nulle; la civiltà è costruita sulla riva del tempo, con la marea che sale rapidamente. Carriere, conti bancari, reputazione, eredità e famiglie; se costruiamo tutte queste cose in virtù del nostro nome, invece di costruirle nel nome di Cristo, esse svaniranno nel tempo. Possono sopravvivere ai virus, al fuoco e alle acque e forse posso durare più a lungo delle nostre brevi vite, ma arriverà un giorno in cui “la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate” e ogni opera al di là di quella di Cristo sarà “dissolta” (II Pietro 3:10,11). Ma nel Signore, nessuna fatica è vana. La nostra forza può essere poca, le nostre vite brevi e la nostra reputazione di nessun conto, ma se dedichiamo i nostri giorni a vivere “nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui” (Colossesi 3:17), Dio stesso renderà stabile l’opera delle nostre mani.

 

Gente ordinaria che fa scelte radicali

Che cosa significherà per noi operare nel Signore? Dobbiamo porci questa domanda ancora e ancora durante la nostra vita, e non solo nel bel mezzo di una pandemia. Momenti come questo rendono evidente le scelte che sono di fronte a noi. I nostri giorni sono contati, l’eternità sta arrivando e l’unica fatica che conta è il lavoro che compiamo nel Signore. Quindi cosa dovremmo fare?

Contare bene i nostri giorni porterà molte persone ordinarie a compiere dei passi coraggiosi e radicali. Forse ci voleva il coronavirus per portare alla luce quante banalità occupano il nostro tempo e per farci sentire l’urgenza di compiere quell’opera buona che avevamo sognato di fare da molto tempo. Forse ora è il momento di proseguire con quell’adozione di un bimbo, iniziare uno studio biblico per i detenuti, allentare i legami familiari per trasferirsi all’estero, e iniziare a prendere seriamente l’evangelizzazione.

Il bisogno radicale non ha necessità d’aspettare che ritorni la “normalità”. Quella che chiamiamo “normalità”, ricorda, è in realtà quella vita sull’orlo del precipizio, non molto diversa dalla vita che molti di noi immaginano. Alcuni cristiani, con cuori pieni di saggezza, hanno dedicato questi giorni a spedire cibo ai loro vicini, in maniera gratuita. Altri hanno ospitato bambini che venivano da situazioni familiari drammatiche. Altri ancora hanno rinunciato all’isolamento per ritornare a servire i malati e i morenti.

La vita è troppo breve e l’eternità è così lunga per non osare in qualcosa che sembra grande, rischioso e potenzialmente complicato, che però glorifichi Cristo.

 

Ordinarietà radicale

La vita è troppo breve e l’eternità così lunga anche per sprecare i momenti ordinari di ogni giorno. Così il contare bene i nostri giorni non solo porta persone ordinarie a fare passi radicali e coraggiosi, ma li guida anche a compiere passi più ordinari, in maniera radicale.

La nostra fatica non deve essere grande per essere qualificata come fatica “nel Signore”. L’azione più piccola, fatta attraverso Cristo e per Cristo, non perderà assolutamente la sua ricompensa (Matteo 10:42).

Lewis, nello stesso discorso, dice: “L’opera di un Beethoven e l’opera di una donna di servizio diventano spirituali esattamente alle stesse condizioni, ossia quelle di essere offerte a Dio con umiltà, come per il Signore”. Molta della fatica nel Signore sarà del tipo della donna di servizio: piccola, fatta di azioni di servizio necessarie, che si mettono in fila con la chiamata che Dio ha rivolto alla nostra vita, ognuna dedicata a Dio nella fede.

Prepareremo il pranzo per le nostre famiglie, scriveremo delle lettere agli amici, ci occuperemo dell’accoglienza nelle nostre chiese, pregheremo per i nostri figli prima di andare a dormire: ubbidienza dimenticata in momenti dimenticati e in luoghi dimenticati. Dimenticati da noi, non da Dio. “Sapendo che ognuno, quando abbia fatto qualche bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore” (Efesini 6:8). Per Dio anche l’impresa più piccola fatta nel Signore può lasciare un’impronta che dura più dei cieli.

 

L’eternità nel presente

Nella sua grazia impareggiabile, Dio ci ha donato la dignità di rendere stabile l’opera delle nostre mani. Egli prende queste “manciate di nebbia” (come le definisce David Gibson) e crea qualcosa lontano dalla portata di qualunque virus o calamità. Solo se viviamo alla luce dell’eternità. E ciò può iniziare se viviamo oggi alla luce dell’eternità.

Contare i nostri giorni inizia dal contare proprio questo giorno: quest’irripetibile giorno di 24 ore, regalo di Dio, pieno di opportunità per l’opera del Signore. Non abbiamo acquistato un cuore saggio fino a quando l’eternità non farà pressione su di noi nel presente, insegnandoci a vivere oggi nella luce dell’eternità. Poco importa quale tipo di opera abbiamo di fronte a noi, radicale o ordinaria, piacevole o dura. Quello che conta è che facciamo ogni cosa nel Signore.

Se operiamo in questo modo, allora Dio stesso stabilirà fermamente l’opera delle nostre fragili e morenti mani. Sì, egli renderà stabile l’opera delle nostre mani.

 

Traduzione a cura di Anna Lombardi

Tematiche: L'amore di Dio, Paradiso, Prova, Sofferenza, Vita Cristiana

Scott Hubbard

Scott Hubbard

 

Si è laureato alla Bethlehem College & Seminary ed è editore per desiringGod.org. Insieme a sua moglie, Bethany, vive con i figli a Minneapolis.

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