Predicazioni con troppa retorica? La sana teologia biblica come rimedio (parte 3 di 3)

 

 

L’anamnesi: come fare teologia biblica nella predicazione 

 

Quando si predicano le Scritture, è imprescindibile intuire su quale linea temporale della storica redentiva si posiziona il libro che stiamo esaminando. A rischio di semplificare eccessivamente, azzardiamo col dire che, per fare della buona teologia biblica nella predicazione, bisogna rispettare due regole fondamentali: guardare prima dietro e poi guardare il tutto.

 

Lo sguardo retrospettivo: la teologia dell’antefatto

Walter Kaiser ci ricorda che, mentre predichiamo le Scritture, dobbiamo considerare la teologia antecedente di ogni libro biblico. Per esempio, se, in un sermone sull’Esodo, separiamo il libro dalle narrazioni della Genesi, non intenderemo correttamente il messaggio che esso vuole comunicare. Dalla Genesi apprendiamo che Dio è il creatore di tutte le cose e che ha creato gli esseri umani a sua immagine, in modo che essi potessero estendere il dominio del Signore su tutto il mondo.

Adamo ed Eva non confidarono pienamente in Dio e disubbidirono al comando divino. La creazione fu contaminata dal peccato “originale”, grazie al quale la morte e l’infelicità fecero il loro ingresso nel mondo. Nondimeno, il Signore promise che la vittoria finale sarebbe stata ottenuta per mezzo dela progenie della donna (Gen. 3:15). Tra la discendenza della donna e quella del serpente, in altre parole, ci sarebbe stata perennemente un’aspra lotta, nella quale avrebbe però prevalso la prima.
Nel prosieguo della Genesi, c’è lo svolgersi del combattimento tra il seme della donna e quello del serpente, con la triste realtà che la stirpe del serpente è straordinariamente forte. Caino uccide Abele e i malvagi diventano molto più numerosi dei giusti: solo Noè e la sua famiglia godono del favore di Dio. In seguito, gli esseri umani ordiscono un complotto per stabilire la propria autorità, mediante la costruzione della torre di Babele.
Ma Signore è sovrano. Egli castiga Caino e distrugge l’empia razza umana per mezzo del diluvio, risparmiando solo Noè e la sua famiglia, otto persone in tutto, dopodiché vanifica gli ambiziosi disegni e le speranze degli uomini a Babele, confondendo i loro linguaggi.

La narrazione continua, mostrandoci Dio che stringe un patto con Abramo, Isacco e Giacobbe; l’impegno preso è far sì che la vittoria promessa in Gen. 3:15 sia ottenuta, ma dalla loro discendenza, che diventerà numerosa, ricca e possente, anche dal punto di vista materiale. Il libro della Genesi si concentra in modo prospettico sulla parola data da Dio, parola che avrà sicuro compimento, ma nelle generazioni successive. Insomma, non sarano i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe ad entrare in possesso della terra promessa e non sarà la loro famiglia ad essere di benedizione per il mondo intero. Da ultimo, l’epilogo, con il racconto dei dodici figli dati dal Signore a Giacobbe, chiamato Israele.

Ma la domanda è: perché, per interpretare correttamente il libro dell’Esodo, è fondamentale conoscere la “teologia antecedente” della Genesi?

La risposta è già nel verso 7 del primo capitolo dell’Esodo, in cui è ricordata la realizzazione della promessa fatta ad Abraamo, di una discendenza prolifica. Non solo: rileggendo il terzo capitolo della Genesi, notiamo anche la similitudine tra faraone e la progenie del serpente, della quale egli è figura, laddove Israele incarna quella della donna. Il tentativo del faraone di uccidere tutti i bambini maschi, simboleggia le macchinazioni della generazione del serpente, mentre la battaglia tra le due generazioni prosegue senza quartiere, come preannunciato dalla Genesi.

Continuando a scorrere il libro dell’Esodo e il resto del Pentateuco, vediamo che la liberazione di Israele dall’Egitto e la promessa della conquista di Canaan rappresentano anche il perfezionamento dell’alleanza del Signore con Abraamo. L’annuncio di una terra in cui abitare comincia a materializzarsi. Ora, in un certo senso, Israele è come un nuovo Adamo in una nuova patria e, così come il suo progenitore, deve vivere nella fede e nell’obbedienza, secondo le leggi impostegli dal Signore.
Ora, se dovessimo interpretare l’Esodo senza conoscere il messaggio precedente della Genesi, non percepiremmo il significato intimo della narrazione. Leggeremmo, cioè, il testo disgiuntamente dal suo contesto, incorrendo in una lettura indebita, che darà inevitabilmente luogo a false interpretazioni. L’importanza della teologia del trascorso è palese in tutto il canone biblico; qui ci limitiamo a fornirne pochi altri esempi.

  • La conquista di Giosuè va interpretata con l’occhio rivolto al patto con Abraamo. Il possesso di Canaan è quindi l’adempimento della promessa, fatta al patriarca, di trarre benefici dal suolo canaaneo.
  • Gli esili forzati dei due regni in cui si era scisso Israele, prima quello del nord (722 a.C.) e poi quello di Giuda (586 a. C), preannunciati dai profeti e rievocati in diversi libri delle Scritture, rappresentano l’adempimento delle maledizioni legate all’alleanza di cui parlano Levitico 26 e Deuteronomio 27-28. Se i predicatori, e le chiese, non sanno la teologia precedente riguardante l’Alleanza mosaica e le maledizioni minacciate nella Legge, difficilmente potranno comprendere le deportazioni di Israele e di Giuda.
  • La venuta di un futuro Davide rimanda al patto precedentemente concluso con il re Davide, dove il Signore assicura l’esistenza di uno che sieda sul suo trono, in perpetuo.
  • Il Giorno del Signore, cui viene dato così tanto risalto negli scritti dei profeti, deve essere interpretato alla luce della promessa fatta ad Abramo.

 

Naturalmente, lo stesso metodo si applica anche al Nuovo Testamento.

  • Non capiremo l’ importanza del regno di Dio nei vangeli sinottici senza conoscere la trama dell’Antico Testamento e ignorando i patti e le promesse fatte da Dio al popolo d’Israele.
  • Il valore di Gesù quale Messia, Figlio dell’Uomo e Figlio di Dio, ha il suo humus nelle profezie veterotestamentarie.
  • Il libro degli Atti, come accenna Luca nella sua introduzione, è il sèguito di quello che Gesù cominciò a fare e insegnare, ed è quindi imbevuto tanto dell’Antico Testamento quanto del ministero, dalla morte e dalla risurrezione di Gesù.
  • Anche le epistole sviluppano la loro teologia partendo dalla maestosa opera di salvezza compiuta da Gesù Cristo, spiegando e applicando il messaggio della grazia e l’adempimento delle promesse di Dio alle chiese costituite.
  • In conclusione, l’Apocalisse va intesa come il vertice della storia biblica e umana. Non è un mero poscritto, aggiunto per dare alle Scritture un finale ad effetto. I suoi numerosi riferimenti all’Antico Testamento dimostrano che ha come sfondo la rivelazione veterotestamentaria. L’Apocalisse non ha senso se non si capisce che in essa è descritto il compimento di tutto ciò che Gesù Cristo ha fatto e insegnato.

Questo non vuol dire che la storia della redenzione abbia lo stesso ruolo centrale in tutti i libri del canone. Pensiamo, ad esempio, ai libri sapienziali, come il Cantico di Salomone, Giobbe, Ecclesiaste, Proverbi e Salmi. Tuttavia, anche qui, gli autori biblici hanno come premessa le verità fondamentali presentate dalla Genesi, come la creazione, la caduta di Adamo e la posizione speciale di Israele quale popolo prescelto da Dio.

A volte, essi accennano chiaramente a tale privilegio, come nei Salmi, che raccontano la storia di Israele. Comunque, dobbiamo sempre tener presente la pluralità tematica del canone e che non tutti i testi hanno le medesime finalità.

In breve, i predicatori devono aver costantemente cura di predicare inserendo i loro sermoni nel più ampio contesto biblico della storia della redenzione. I fedeli, all’ascolto, devono poter recepire il quadro generale di ciò che Dio ha fatto e come ogni parte delle Scritture contribuisca a dar vita a quel meraviglioso mosaico. Questo ci porta a considerare quello che si chiama …

 

Lo sguardo globale: la predicazione secondo il Canone

Come messaggeri della Parola di Dio, non dobbiamo limitarci alla teologia dell’antefatto, ma bensì considerare la Scrittura nel suo complesso, la testimonianza canonica che ora abbiamo nel ministero, nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo. Se proclamiamo solo quella teologia, non taglieremo mai rettamente la Parola della verità e non porgeremo mai in modo confacente il messaggio del Signore ai nostri contemporanei. Per essere più concreti, se nel nostro sermone esaminiamo i capitoli iniziali della Genesi, non dobbiamo esimerci dal predicare che il seme della donna è Gesù Cristo e che il creato, sottoposto a vanità a causa dell’ingresso del peccato nel mondo, sarà liberato grazie all’opera di Gesù Cristo (Rom 8:18-25).

Gli ascoltatori devono poter realizzare che il vecchio creato non si estinguerà nella corruzione, ma che Dio darà vita a una nuova creazione in Cristo Gesù. Dobbiamo mostrare loro, servendoci del libro dell’Apocalisse, che la fine sarà migliore dell’inizio e che le benedizioni della creazione originale saranno, per così dire, sovradimensionate, nella nuova creazione.
Analogamente, mai predicare sul Levitico senza averlo esplorato tenendo conto del suo adempimento in Cristo. Dobbiamo proclamare con forza che le “ombre” dei rituali veterotestamentari sono divenute “realtà” grazie all’opera del Signore Gesù sulla croce. Inoltre, vanno correttamente interpretate le varie prescrizioni sul regime alimentare e sull’igiene personale, in modo da far capire che il Signore non ci chiama a una semplice osservanza di regole alimentari o igieniche. Quelle norme, in altre parole, additano qualcosa di più importante: la santità e la vita nuova che dobbiamo vivere noi cristiani (1 Cor. 5:6-8; 1 Pie. 1:15-16).

 

E, più di ogni altra cosa, non dobbiamo stancarci di predicare, come chiaramente insegnato dal Nuovo Testamento, che i credenti non sono più sotto la legge mosaica (Gal. 3:15-4:7; 2 Cor. 3:7-18). L’Antico Patto doveva rimanere in vigore solo per un certo periodo di storia della salvezza, ma ora che l’adempimento in Cristo è una realtà, non siamo più sotto l’alleanza che il Signore fece con Israele.

Pertanto, è sbagliato pensare che gli stati moderni debbano essere governati secondo le leggi che regolavano la vita sociale e cultuale dell’Israele terreno, come pretendono i patrocinatori della teonomia ai nostri giorni.
Nei nostri sermoni dobbiamo operare la giusta distinzione tra l’Israele “secondo la carne” e la Chiesa di Gesù Cristo. Nel primo caso, avevamo un governo teocratico del popolo, che era sia la nazione del patto con l’Eterno sia un’entità politica. Ma la Chiesa di Gesù Cristo non ha nulla a che vedere con la politica e non necessita di una carta costituzionale, intesa in senso strettamente istituzionale.

Essa è formata da persone di ogni popolo, lingua, tribù e nazione. Se non facciamo rilevare ai fedeli la differenza tra Antico e Nuovo patto, rischiamo di causare un disastro nelle nostre congregazioni, e se noi stessi non abbiamo afferrato le differenze tra antico e nuovo patto, ci troveremo in difficoltà su alcuni punti biblici, ad esempio, dove si parla della conquista di Canaan, da parte di Giosuè. Alla Chiesa di Gesù Cristo non è stato mai promesso che un giorno riceverà la terra di Canaan!

 

Questa è innanzitutto una promessa da intendersi tipologicamente, che si va sempre più consolidando verso il suo finale compimento, nel Nuovo Testamento. L’epistola agli Ebrei spiega che la promessa del riposo fatta a Giosuè non è mai stata concepita come riposo finale per il popolo di Dio (Eb 3:7-4:13), e Paolo dice che la terra promessa ad Abramo non può essere confinata al paese di Canaan ma è da estendersi al mondo intero (Romani 4:13). Lo scrittore agli Ebrei afferma che noi, come credenti, non aspettiamo una città terrena, ma celeste, di là da venire (Ebr. 11:10, 14-16;13:14). Città che Giovanni, in Apocalisse 21-22, chiama “Gerusalemme celeste”, e che è figura simbolica della nuova creazione.

Quindi, se predichiamo su un testo tratto dal libro di Giosuè senza dar risalto all’eredità che possediamo in Cristo e alla nuova creazione, avremo fallito miseramente nel rimarcare uno dei temi centrali del libro. Il messaggio risulterà mutilato, e il gregge non noterà che la piena realizzazione di tutta la Scrittura è in Cristo, né che tutte le promesse di Dio sono “sì” e “amen” in Lui (2 Cor. 1:20).

Se predichiamo le Scritture come si conviene, cioè utilizzando la teologia biblica, proclameremo Cristo sia dall’Antico Testamento che dal Nuovo. Logicamente, dovremo allegorizzare il testo in esame nella giusta misura, evitando di fare collegamenti inappropriati tra i due testamenti. Se applicheremo opportunamente i principi basilari della teologia biblica e ci ispireremo all’approccio ermeneutico degli scrittori apostolici, non incorreremo in simili errori. Dopo tutto, gli autori sacri credevano che Cristo era il cuore della rivelazione veterotestamentaria, e che l’Antico Patto si era adempito nella sua Persona. D’altronde, Gesù Cristo stesso insegnò loro ad applicare una sana ermeneutica alle Scritture, per esempio, quando aprì le Scritture a Cleopa e al suo amico, sulla via di Emmaus (Luca 24).

A questo proposito, alcuni hanno sostenuto che, sebbene l’ermeneutica degli apostoli sia stata ispirata, oggi non dovrebbe essere imitata.

Un simile punto di vista è quantomeno inopportuno, poiché insinua che il compimento che gli apostoli vedevano nell’Antico Testamento non concorda con il reale significato dei testi sacri. Se così fosse, le equivalenze riscontrate tra i due testamenti sarebbero da considerarsi ingiustificate, e gli apostoli (e persino Cristo stesso!) cesserebbero di essere gli esempi cui attenersi per interpretare oggi l’Antico Testamento. Invece, se crediamo che gli apostoli furono ispirati e saggi lettori dell’Antico Testamento, allora abbiamo in loro il modello sul quale leggere tutto l’Antico Testamento, sulla scorta del suo adempimento, realizzatosi in Gesù Cristo.

La trama e la composizione letteraria dell’Antico Testamento puntano inequivocabilmente su Cristo e in Lui si realizzano. Quando leggiamo della promessa fatta ad Abramo, nell’Antico Testamento, ci rendiamo conto che si è adempiuta in Cristo Gesù. Le ombre dei sacrifici dell’Antico Testamento trovano la loro sostanza in Cristo.
Per esempio:

  • Le feste ebraiche della Pasqua, di Pentecoste e dei Tabernacoli, indicano rispettivamente Cristo come vero sacrificio pasquale, il dono dello Spirito e Gesù quale Luce del mondo.
  • Ai credenti non è più richiesto di osservare il sabato, essendo anch’esso una delle ombre dell’Antico Patto (Col 2:16-17, Rom. 14:5) stretto con Mosè sul Sinai e non più in vigore per i cristiani (Gal 3:15-4:7, 2 Cor. 3:4-18, Ebr. 7:11-10:18). Il sabato, oggi, è il trepidante preludio al riposo celeste, garantito in Cristo ai credenti e che diventerà una realtà eterna al ritorno del Signore (Ebr. 3:12-4:11).
  • Il tempio è figura di Cristo, vero tempio, mentre la circoncisione fisica trova il suo perfezionamento nella circoncisione del cuore, saldamente legata alla croce di Cristo e assicurata dall’opera dello Spirito.
    Il regno di Davide, uomo secondo il cuore di Dio, non è il regno perfetto; l’uomo è solo un tipo di Gesù Cristo, il Davide più eccelso, l’uomo senza peccato. Egli è il re messianico che, per mezzo del suo ministero, della sua morte e della sua risurrezione, ha reso possibili le promesse fatte da Dio al suo popolo.
  • Se non predichiamo l’Antico Testamento considerando il canone biblico nella sua globalità, o ci limiteremo a dare lezioni di etica, tratte dall’Antico Testamento, oppure, cosa altrettanto probabile, ridimensioneremo il valore e la portata di questa importantissima sezione scritturale. Come cristiani, siamo consapevoli che gran parte dell’Antico Testamento non fu scritto per le circostanze attuali. Per intenderci, non è che Dio promette di liberarci dalla schiavitù politica, come fece con Israele in Egitto.
    Oggi Israele è politicamente travagliato, ma i cristiani non credono che la loro gioia verrà dal vivere in Israele, né pensano che l’adorazione consista nel recarsi al tempio per offrire sacrifici. Perciò, se non predichiamo l’Antico Testamento con uno sguardo e una mente aperti a tutte le Scritture, e alla luce della teologia biblica, la predicazione cristiana ne soffrirà danno. Non solo ci priveremo dei tesori meravigliosi contenuti nella Parola di Dio, ma non riusciremo nemmeno a vedere la profondità e il carattere sfaccettato che contraddistingue la rivelazione biblica. Ci troveremo, cioè, a leggere l’Antico Testamento in maniera differente da come hanno fatto Gesù e gli apostoli, per cui non potremo appurare de visu che le promesse di Dio sono “sì” e “amen” in Cristo.
  • La lettura canonica dell’Antico Testamento non significa che esso non viene letto nel suo contesto culturale storico. Il primo compito di ogni interprete è leggere l’Antico Testamento riuscendo a cogliere il senso che l’autore biblico voleva comunicare ai suoi lettori originali. Inoltre, come abbiamo detto sopra, ogni libro dell’Antico Testamento va letto considerando libro precedente, in modo da comprendere la trama generale delle Scritture. Però dobbiamo anche leggere canonicamente anche tutte le Scritture, ovvero facendo si che l’Antico Testamento sia letto tenendo presente l’intero corpus biblico, il cui punto finale è Gesù Cristo. A chiusura, ci permettiamo di dare tre consigli: considerare sempre il punto di vista globale dell’autore divino nel fare teologia biblica e nel predicare la Parola di Dio, leggere le Scritture sia dal primo all’ultimo libro, che dal primo al successivo e esaminare sempre tanto la narrazione nel suo sviluppo quanto nel suo epilogo.

 

Conclusione

Il compito di noi predicatori è annunciare tutto il consiglio di Dio. Non assolveremo alla nostra chiamata, se non saremo in grado di fare teologia biblica. Magari, il nostro uditorio si complimenterà con noi per gli insegnamenti morali ricevuti e per gli aneddoti che abbiamo raccontato, ma non avremo servito fedelmente la comunità se i credenti non capiranno che tutta la Scrittura ruota intorno a Cristo, e se non saremo stati capaci di porgere loro una migliore comprensione della narrazione biblica. Dio ci aiuti ad essere insegnanti e predicatori fedeli, affinché ogni anima affidataci possa essere “presentata perfetta in Cristo”.

 

Traduzione a cura di Ciro Izzo

 

Foto di Lilian Dibbern su Unsplash

 

 

Tematiche: Chiesa, Ministero, Predicazione, Teologia

Thomas R. Schreiner 

Thomas R. Schreiner

È professore di Interpretazione del Nuovo Testamento al Seminario Teologico Battista del Sud a Louisville, Kentucky, e il Pastore per la Predicazione alla Clifton Baptist Church.
Lo puoi trovare su Twitter a @DrTomSchreiner.

© Thomas R. Schreiner , © Coram Deo

Il presente articolo può essere utilizzato solo facendone previa richiesta a Coram Deo. Non può essere venduto e non si può alterare il suo contenuto.