Predicazioni con troppa retorica? La sana teologia biblica come rimedio (parte 2 di 3)
La prognosi: definizione di che cosa è la teologia biblica
[segue dalla prima parte]
La soluzione ai problemi di una predicazione superficiale descritta nella prima parte è davvero elementare: i pastori devono imparare come usare la teologia biblica nella loro predicazione. E’ quindi conveniente cominciare chiedendosi: cos’è la teologia biblica?
Teologia biblica e teologia sistematica
La teologia biblica, a differenza della teologia sistematica, approfondisce la trama biblica. La teologia sistematica, benché alimentata dalla teologia biblica, è svincolata dal tempo. Quanto alla teologia biblica, Don Carson sostiene che è più vicina della teologia sistematica al testo, mirando al raggiungimento di un genuino pragmatismo rispetto al carattere distintivo di ciascun corpus, e cercando di connettere i diversi corpora, a seconda delle categorie di appartenenza. Idealmente, quindi, la teologia biblica si pone come una sorta di disciplina che collega una esegesi responsabile a una ponderata teologia sistematica (sebbene si influenzino inevitabilmente a vicenda).
In altre parole, la teologia biblica si limita più intenzionalmente al messaggio del testo o del corpus preso in considerazione. Si interroga su quali siano i temi chiave per gli scrittori biblici, ponendoli nel relativo background storico, e cerca di mettere in rilievo il reciproco legame tra loro. Si concentra sul filo conduttore delle Scritture, sullo sviluppo del piano di Dio nella storia della redenzione. Come osserveremo più esaustivamente nella terza parte di questo articolo, ciò significa che non dovremmo interpretare, e di conseguenza predicare, su un testo, prima di averlo inserito nel contesto attinente all’intera trama biblica.
La teologia sistematica, viceversa, sottopone il testo a questioni che riflettono le richieste o le preoccupazioni filosofiche del momento. I teologi sistematici possono anche – mossi da buoni fini – esplorare temi che sono sottintesi negli scritti biblici, ma senza porre eccessiva attenzione verso il testo biblico. Ad ogni modo, è evidente che qualsiasi teologia sistematica degna di questo nome affondi le proprie radici nella teologia biblica.
L’elemento distintivo della teologia biblica, come osserva Brian Rosner, è che essa «lascia che sia il testo biblico a stabilire le priorità». Dal canto suo, Kevin Vanhoozer esprime in maniera chiara il ruolo specifico della teologia biblica, quando afferma che «l’espressione ’teologia biblica’ designa un approccio interpretativo alla Bibbia, il cui postulato è che la Parola di Dio, dal punto di vista testuale, viene mediata, e storicamente condizionata, attraverso i vari generi letterari in uso tra gli esseri umani» ovvero «per dirla in maniera più concreta, la teologia biblica coincide con gli interessi dei testi stessi».
Il già menzionato Carson, ben esprime il contributo della teologia biblica:
Ma idealmente, la teologia biblica, come suggerisce il suo nome, quantunque operi sul piano induttivo, partendo dai diversi testi della Bibbia, cerca di scoprire e coordinare l’unità di tutti i testi biblici presi insieme, ricorrendo principalmente alle categorie letterarie di quegli testi stessi. In tal senso, essa è teologia biblica canonica, ovvero la teologia che ha per assioma “la Bibbia e solo la Bibbia”.
Si può fare della sana teologia biblica anche limitandosi alla sola Genesi, a tutto il Pentateuco, al solo vangelo di Matteo, all’epistola ai Romani o a tutto il corpus paolino. Nondimeno, essa è più rigorosamente sviluppata quando ha come campo d’azione l’intero canone delle Scritture, poiché la trama biblica si sviluppa nel complesso.
Certi predicatori espositivi si limitano frequentemente a esaminare il Levitico, Matteo o l’Apocalisse, senza scandagliare il contesto, compreso quello geopolitico, in cui prese forma la storia della redenzione. Isolano le Scritture in scomparti a sé stanti, predicando a settori, invece di proclamare l’intero consiglio di Dio.
Gerhard Hasel nota giustamente che dobbiamo fare teologia biblica in un modo «che cerchi di rendere giustizia a tutte le dimensioni della realtà della quale testimoniano i testi biblici».Fare questo tipo di teologia non è compito esclusivo dei docenti del seminario: è una responsabilità che grava su chiunque predichi la Parola di Dio!
Ma ritorniamo alle differenze tra teologia sistematica e teologia biblica, per la quale Carson fornisce lo schema del percorso. La teologia sistematica apprezza ed esalta il contributo della teologia storica, e perciò attinge alle opere di Agostino, Tommaso d’Aquino, Lutero, Calvino, Edwards e molti altri, nel formulare la dottrina biblica. Essa cerca di applicare la Parola di Dio direttamente nel nostro ambiente culturale e ai nostri giorni.
È ovvio, pertanto, che ogni buon predicatore debba essere esperto di teologia sistematica, per annunciare una parola profonda e potente ai suoi contemporanei. La teologia biblica, invece, è orientata verso un procedimento logico e più essenziale.
Carson afferma giustamente che la teologia biblica è una “disciplina di mediazione”, mentre definisce la teologia sistematica una “disciplina culminante”. Possiamo dunque dire che la teologia biblica è una scienza intermedia, che funge da collegamento tra lo studio storico-letterario della Scrittura e la teologia dogmatica. In altri termini, la prima si muove partendo dal testo, collocato nel suo contesto storico. Ciò non significa che la teologia biblica sia un’impresa puramente neutrale o impersonale. L’idea di poter scindere ordinatamente ciò che significava da ciò che essa vuole comunicare, come sosteneva Krister Stendahl, è un’utopia.
Ecco il parere di Scobie sulla teologia biblica:
I suoi presupposti, basati su un impegno di fede cristiana, includono il convincimento che la Bibbia trasmetta una rivelazione divina, che la Parola di Dio riportata dalla Scrittura costituisca la norma di fede e della vita pratica del cristiano, e che tutto il materiale vetero e neotestamentario possa in qualche modo essere collegato al piano e allo scopo dell’unico Dio di tutta la Bibbia. Tale teologia biblica si pone a metà strada tra ciò che la Bibbia “intendeva” e ciò che “significa”.
Ne consegue, perciò, che la teologia biblica non è circoscritta al Nuovo o all’Antico Testamento, ma considera entrambi, in una veduta d’insieme, quali inerrante e divinamente ispirata Parola di Dio. C’è di più: la vera teologia biblica è costruita, avendolo eletto a propria inderogabile regola, sul canone delle Scritture, e sono indispensabili entrambi i Testamenti per poterla studiare e approfondire correttamente.
Mettere d’accordo l’Antico e il Nuovo Testamento
Tra l’Antico e il Nuovo Testamento esiste un sublime scambio dialettico, nel fare teologia biblica. Il Nuovo Testamento è la vetta a cui assurge la storia della redenzione iniziata nell’Antico Testamento, per cui la teologia biblica è, per sua definizione, una teologia narrativa. Essa cattura la storia dell’opera salvifica di Dio nel racconto. Lo svolgimento storico di ciò che Dio ha fatto può essere descritto come la storia della salvezza o la storia della redenzione.
È utile anche vagliare le Scritture dal punto di vista della promessa e del compimento: ciò che nell’Antico Testamento viene promesso, è adempiuto nel Nuovo. Bisogna stare attenti a non cancellare la particolarità storica della rivelazione anticotestamentaria, in modo da tenere nella giusta considerazione il substrato storico in cui essa è nata. Dall’altro lato, bisogna saper distinguere il continuo crescendo della rivelazione, dall’Antico al Nuovo Testamento.
Ciò equivale a riconoscere il carattere propedeutico dell’intera narrazione veterotestamentaria, la quale converge verso la piena e finale rivelazione descritta nelle pagine del Nuovo Testamento. Definire l’Antico Testamento “preparatorio” non menoma in alcun modo il ruolo decisivo ch’esso ha nella storia della redenzione; al contrario, comprenderemo il Nuovo Testamento solo quando avremo afferrato il significato dell’Antico e viceversa.
Quest’ultima affermazione ci rimanda alla tipologia biblica, della quale taluni appaiono restii ad ammettere l’importanza. Eppure, questo approccio ermeneutico è basilare per fare della buona teologia biblica, giacché gli stessi scrittori biblici, nell’esporre il loro pensiero, si servirono di tipi.
Ma che cos’è la tipologia?
È quella disciplina che si occupa delle corrispondenze, volute da Dio, tra eventi, persone e istituzioni dell’Antico Testamento e il loro adempimento in Cristo, avvenuto nel Nuovo.
Abbiamo un chiaro esempio tipologico nel vangelo di Matteo, che ravvisa nell’esodo di Israele dall’Egitto, un tipo del ritorno dall’Egitto di Maria, Giuseppe e Gesù (Matteo 2:15; Es. 4:22-23; Os. 11:1). Ovvio che non solo gli scrittori neotestamentari hanno notare tali “similitudini divinamente predisposte”. Gli scrittori veterotestamentari hanno fatto altrettanto. Tra gli altri, citiamo i profeti Isaia e Osea, che predissero un nuovo esodo, che avrebbe avute le stesse caratteristiche di quello guidato da Mosè.
L’Antico Testamento profetizza anche l’avvento di un altro Davide, più illustre del primo. Nelle Scritture, pertanto, c’è un crescendo tipologico, dove l’antitipo è più eminente e degno di onore del suo tipo. Prendiamo Gesù: Egli non è solo un altro Davide, ma è il più eccelso Davide. Così, la tipologia vede nella storia dell’uomo un prototipo e uno scopo divini. Dio è l’Autore finale delle Scritture, la storia è un dramma divino. E, dal momento che Egli annuncia la fine sin dal principio, concede a noi lettori odierni di scrutare, dietro le ombre menzionate nell’Antico Testamento, le rispettive realtà, vale a dire la loro conclusiva realizzazione (cfr. Ebr. 10:1 e 12:27. n.d.t.).
Traduzione a cura di Ciro Izzo
Foto di Aaron Burden su Unsplash
Tematiche: Chiesa, Ministero, Predicazione, Teologia
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