Pienamente soddisfatto: il decimo comandamento
Questo articolo è parte di una serie sui Dieci Comandamenti. La parola di Dio ci rivela le leggi che egli richiede per vivere nel mondo, così come sono state da lui stabilite. Solo vivendo secondo questa legge possiamo prosperare e godere del proposito per cui siamo stati creati: glorificare Dio e godere di una relazione con lui. Questa serie esplora come i cristiani, la cui identità è in Cristo e la cui eredità è riposta nell’eternità, dovrebbero vivere concretamente i Dieci Comandamenti.
“Non concupire la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo,
né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue,
né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo”.
Esodo 20:17
Ho amato il nostro primo anno di matrimonio. Il nostro primo appartamento era sessanta metri quadrati di oggetti di seconda mano, manopole rotte e cene bruciate. Immaginavamo come sarebbe stata la nostra vita di coppia, nella fiducia che Dio avrebbe reso stabili le nostre vie.
La mia gioia innocente presto dovette affrontare un nemico quando iniziammo ad accettare inviti in altre case. Entravamo in quei graziosi vialetti e il mio cuore desiderava prati ben curati, caldi focolari, soffitti costosi e spazi adeguati ad accogliere tante persone. Ho iniziato a credere che i miei beni e le mie condizioni di vita definissero il mio valore. Le persone si sarebbero sentite benvenute nella nostra casa? Avremmo avuto la possibilità di servire gli altri e di essere ospitali? Tutte queste domande venivano espresse come desiderio di volersi prendere cura degli altri quando in realtà nascondevano idolatria. L’idolatria è stata un ostacolo per il popolo di Dio in tutta la Bibbia. Nell’Antico Testamento assumeva principalmente la forma di un’immagine fisica realizzata con oro o altro materiale, adorata da Israele. Israele si inchinava davanti a queste divinità pagane, immagini senza vita scolpite nella materia. La loro idolatria, come ogni peccato, risiedeva nel profondo del cuore.
Oggi forse non abbiamo icone d’oro, ma adoriamo ancora cose, persone o idee che allontanano la nostra devozione da Dio. In questo senso, la cupidigia agisce come idolatria, cercando di creare, ottenere o controllare la felicità. È credere che qualcosa “là fuori” ci porterà appagamento, disprezzando così la buona parte di Dio per noi e sostituendolo sul trono dei nostri cuori.
Cupidigia in Israele
Nel libro dell’Esodo, dove vediamo per la prima volta il Decimo Comandamento, Dio, Il Grande IO SONO, chiamò Mosè secondo le sue promesse e liberò il suo popolo da 430 anni di schiavitù in Egitto. Fu dopo questo grande esodo che Dio diede loro la legge. Tutto ciò che riguarda la legge di Dio rappresentava la sua santità, che merita perfetta gratitudine, umiltà e obbedienza.
Nonostante la grande liberazione ottenuta, Israele ha lottato con la cupidigia. Mormorarono contro il Signore e desiderando di tornare in Egitto dissero: «Fossimo pur morti per mano del SIGNORE nel paese d’Egitto, quando sedevamo intorno a pentole piene di carne e mangiavamo pane a sazietà! Voi ci avete condotti in questo deserto perché tutta questa assemblea morisse di fame!” (Es. 16:3). Israele desiderava una momentanea risposta che placasse la propria fame, non confidando nella provvidenza quotidiana di Dio e nella sua promessa di una futura eredità di una terra “dove scorre latte e miele” (Es. 3:8). Il loro cuore era rivolto a qualcosa che non avevano, rigettando tutto ciò che Dio aveva fatto per loro. Questo è il peccato della cupidigia.
Al contrario, l’umile contentezza direbbe: “Dio mi ha salvato, è con me e in lui ho tutto ciò di cui ho bisogno”.
Il Catechismo Esteso di Westminster descrive questa contentezza richiesta dal Decimo Comandamento come “una piena contentezza della nostra condizione” e “un atteggiamento così caritatevole di tutta l’anima verso il nostro prossimo” che tutti i nostri pensieri e intenzioni verso di lui o lei sono volti a perseguire il suo benessere.
Cosa fa al cuore la cupidigia
In quel primo anno di matrimonio, ho imparato che desiderare la casa del mio vicino significava desiderare un ideale che pensavo potesse offrirmi qualcosa che Dio non era in grado di offrirmi. Stavo sperimentando la benedizione del matrimonio, camminando nella gloriosa salvezza, con un tetto sopra la testa e il cibo sulla nostra tavola, e il mio cuore gridava: “Non è abbastanza!”
Il mio cuore era diviso, il che provocava amarezza, disobbedienza e frustrazione. Ero lontano da Dio. Questo è ciò che fa la concupiscenza: ci separa dall’esperienza della bontà di Dio e ostacola il nostro amore sia per Lui che per il nostro prossimo.
Ciò che Dio insegnò agli Israeliti dopo l’esodo è la stessa cosa che Gesù insegnò nei Vangeli. Gesù dice: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Giov. 6:35). In Cristo abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Tutti i nostri desideri e affetti sono soddisfatti nel suo amore perfetto. Questo era vero nell’Antico Testamento poiché Dio provvedeva continuamente a tutte le cose per il suo popolo. Il messaggio è chiaro: solo in Dio i nostri bisogni sono soddisfatti nel migliore dei modi.
La fonte della nostra contentezza
Potresti chiederti: come può essere vero se faccio fatica a pagare l’affitto, se il mio matrimonio è in crisi o se sto combattendo il cancro? Dio soddisfa davvero tutti i nostri bisogni in questi contesti?
Più avanti nel Vangelo di Giovanni Gesù dice: “Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Giov. 10:10).
L’abbondanza biblica non è in qualcosa di materiale, ma di spirituale. Dio ha certamente il potere e la sovranità per provvedere finanziariamente, riparare relazioni interrotte e guarire il corpo, ma ciò non significa che queste cose accadranno sempre. Lo stato della nostra anima sarà sempre il problema più grande, non il nostro affitto. Non possiamo guardare a qualcosa di materiale per riparare ciò che in definitiva è spirituale. Anche nel deserto, la provvidenza materiale della manna doveva indirizzare alla provvidenza spirituale più grande di Gesù (Giov. 6:31–51). Questo è precisamente il motivo per cui possiamo sperimentare la contentezza divina anche in mezzo alla sofferenza e alla mancanza, perché ci è stata data una vita abbondante in Gesù Cristo.
Su questo tema vi consigliamo Soddisfatti in Dio, di Tim Chester, Ed. CoramDeo
Tematiche: Antico Testamento, Peccato, Tentazione, Umiltà, Vita Cristiana
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