Quando non hai tempo di pregare

 

È buio. La casa è silenziosa.

 

Per fare colazione ci vogliono ancora tre ore.
Mi copro bene per uscire fuori, scendo nel mio studio al piano di sotto e accendo la lampada. Lampeggia un paio di volte prima che la luce giallognola illumini appieno la Bibbia aperta proprio lì davanti. La tavola è preparata; la mia anima era affamata ed ora ho fatto in tempo. Davanti a me c’è il banchetto. È buio. Per fare colazione ci vogliono ancora tre ore.

 

È allora che sento un rumore di passi. È insolito. Passi a quest’ora? Così presto? Ma aspetta un attimo, non sono solo un paio di passi, neanche due – forse tre? Risalgo le scale e trovo tre dei miei figli che gironzolano per casa con gli occhi assonnati.
Uno doveva andare al bagno, l’altro aveva fatto un brutto sogno, e il terzo voleva semplicemente fare compagnia agli altri. Aspetto che tutti abbiano finito e li riaccompagno a letto. Poi riscendo di nuovo, ma ecco che sento di nuovo dei passi. Mi rialzo per andare a vedere cosa succede. Qualche lacrima e abbraccio. Poi, rifaccio il percorso ben noto verso il mio studio. Ma le lacrime e gli abbracci sembrano non finire. Poco dopo, devo rialzarmi di nuovo. Sopra, sotto, porte aperte, porte chiuse e poi ancora e ancora – Dio! Sto cercando di pregare!

 

Cosa fare? Suppongo che mi sarei dovuto mettere l’aureola e vagare su e giù per le scale in cerca di un momento prezioso. Suppongo che avrei dovuto reprimere la delusione e “sopportare che i bambini vengano a me”. Ma poi, ancora una volta penso che volevo veramente pregare – avevo bisogno di pregare. Ma ci sono tutte queste distrazioni. Aspetta, posso dirlo veramente? Sono veramente distrazioni? No, naturalmente no. Il telefonino può essere una distrazione. Andare a vedere se qualcuno ha postato qualcosa su Twitter è una distrazione. Controllare gli aggiornamenti di Instagram o rispondere ad una mail possono essere distrazioni, ma non i miei figli, non le persone, non queste cose!

 

Eppure ero lì, mi sentivo distratto, non riuscivo a dare la giusta attenzione a qualcosa di buono, di giusto e di necessario, perché avevo qualcos’altro di buono, giusto e necessario da fare.

 

Si è fatto giorno. La casa è piena di rumori. La colazione è in ritardo.

Speravo di sentirmi un po’ più vicino a Dio, ma sono sul punto di andarmene ancora più scombussolato di prima. Ancora affamato, non ho gustato quello che speravo di gustare. Non ho pregato i dieci soggetti per mia moglie o i sette per i miei figli o i nove per la mia anima. Non ho pregato per la mia chiesa o per la missione globale di Dio o perché il Suo nome venga glorificato – non so se la si può considerare una preghiera.

 

Ma lì, in ginocchio, cercando di ripartire da capo, sono riuscito solo a dire “AIUTO”. Non avevo nulla da portargli, neanche un flusso consecutivo di pensieri coerenti. Ero un uomo distratto. Mi sentivo stupido, esausto, frantumato in centinaia di pezzi di creta scadente. Non ero niente.

Ma ero lì. E se Dio mi stava dicendo qualcosa, quello potevo dire.

 

Ero lì, in ginocchio sulle grazie incommensurabili che lui aveva operato nella mia vita, riposando sulle sue misericordie infallibili, migliaia e migliaia di grazie. Mi venne in mente allora, per sua grazia, per quello che lui aveva fatto, che per quanto il mio cuore si potesse sentire abbattuto, e per quanto potesse sembrare stupida, esausta e frammentata la mia giornata, per quanto potessi essere distratto, ero comunque, e sono, suo.

Sono suo.

 

Perciò domani ci riproviamo. Ora devo andare a versare i cereali nella tazza…

 

 

(Traduzione a cura di Susanna Giovannini)

 

Libro consigliato:

Tematiche: Famiglia, L'amore di Dio, Preghiera, Prova, Vita Cristiana

Jonathan Parnell

Jonathan Parnell 

è il pastore responsabile della Cities Church di Minneapolis–St. Paul, dove vive insieme a sua moglie Melissa  e i loro sette figli.

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