Non ha importanza quale fosse la spina nella carne di Paolo
Forza nella debolezza
A coloro che leggono i versetti iniziali al capitolo 12 di 2 Corinzi, può sembrare che Paolo abbia finalmente messo la testa a posto dato che, dopo una sequela di avversità in cui l’apostolo trova un’insolita consolazione, finalmente racconta un’esperienza degna di essere elogiata; evidentemente, lo stesso Paolo è stato rapito nel regno dei cieli dove ha potuto intravedere una gloria divina che nessuna parola potrebbe mai descrivere in modo adeguato (2 Cor. 12:1-6), e ora è lui a descriverla a quei Corinzi affamati di gloria.
Non appena vengono riposte queste speranze, relative ad una più sensibile valutazione della legittimità dell’apostolato, ecco che si infrangono; infatti, Paolo racconta questa esperienza indicibile solo ed esclusivamente per introdurre un ulteriore difficoltà che l’accompagna: una “spina nella carne”, che oggi potremmo immaginare come una piccola spina di rosa canina tuttavia, il termine usato (skolops) poteva indicare oggetti grandi come un palo su cui si veniva infilzati.
La spina generava più di un semplice fastidio in quanto, generava un agonia equivalente alla Gloria di ciò che Paolo aveva visto nell’alto dei cieli. Sebbene la spina sia stata introdotta (presumibilmente) nella vita di Paolo quattordici anni prima, 2 Corinzi 12:8-10 fornisce tutte le indicazioni sul fatto che si tratti di una realtà tuttora presente e perciò rappresenta un dolore prolungato e continuo.
Che cos’era la spina? Le congetture non servono a nulla dato che non lo sappiamo; ed è giusto che sia così, per evitare che chi ha sofferenze di natura diversa da quelle di Paolo si senta incapace di applicarne l’insegnamento alle proprie esperienze.
Probabilmente Paolo è intenzionalmente vago, non solo per ottenere la massima efficacia, ma anche per evitare di mettere in luce la propria vita più del necessario; il punto di Paolo infatti non è la spina in sè, ma lo scopo della sua presenza.
Quale sarebbe lo scopo? L’umiltà di Paolo: “affinché non m’insuperbisca” (2 Cor. 12, 7); infatti, il verbo (ὑπεραίρωμαι-yperairomai) significa essere innalzato perciò, lo scopo della spina è quello di eliminare un ovvia conseguenza, cioè che Paolo si sarebbe tranquillamente montato la testa a motivo della sua indescrivibile esperienza del cielo, e senza una spina che faccia scoppiare quella “bolla” chi non lo farebbe? E così il Signore affligge amorevolmente, dolcemente, sovranamente il suo caro apostolo; o forse sì?
Il testo non attribuisce la spina a Satana o a uno dei suoi incaricati? Sicuramente, la spina che è stata data per “tormentare” Paolo, è opera del diavolo tuttavia, intorno a questo desiderio di tormentarlo si nasconde il proposito di Dio di umiliare l’apostolo, che viene menzionato due volte, una all’inizio di 2 Corinzi 12,7 e una alla fine. L’incrociarsi dello scopo di Satana in quello di Dio riflette una realtà più grande: l’inserimento dell’opera e del potere di Satana in quello di Dio.
In una misteriosa sovrapposizione di sovranità divina e infera, anche l’attività satanica rientra nell’ambito degli obiettivi sovraordinati di Dio, perchè Egli non è l’autore del male affinchè dal punto di vista morale non si renda colpevole. Egli non è in grado di fare nulla che sia moralmente considerato peccato tuttavia, anche l’atto più malvagio della storia umana è stato prestabilito da Dio (Atti 2:23; Atti 4:28), e lo stesso vale pure per i mali minori.
Perciò, in 2 Corinzi 12:8 Paolo fece ciò che ognuno di noi avrebbe fatto: chiede che la spina venga allontanata. Proprio come il “terzo” cielo si riferisce molto probabilmente al più alto dei cieli: il cuore del cielo, così “tre volte” vuole esprimere che Paolo ha supplicato il Signore fino allo sfinimento.
Egli fece la richiesta più di due volte ma meno di quattro; piuttosto, fu una richiesta completa, esauriente, piena perchè non chiese timidamente o di sfuggita. Il verbo stesso da lui usato: “ho implorato” (usando il parakaleō), e non semplicemente “ho chiesto”, rende già chiaro questo aspetto. Il fatto che Paolo supplichi il Signore di togliere la spina è un’ulteriore prova che il Signore è colui che l’ha causata.
Paolo intravedeva due strade da percorrere: (1) il Signore poteva togliere la spina così che Paolo poteva continuare la sua vita e il suo ministero oppure (2) lasciargli la spina così che sarebbe stato per sempre paralizzato e frenato nella vita e nel ministero; ma Il Signore rispose con una terza opzione: lasciare la spina e dare a Paolo la grazia (2 Cor. 12:9).
Il risultato chiaro per la vita e il ministero dell Apostolo sarebbe stato quello di realizzare con la potenza divina ciò che altrimenti non si sarebbe mai potuto ottenere ed è proprio questa la segreta strategia di Dio per il suo popolo, e la sorprendente via d’accesso al potere che viene dal cielo.
La “grazia” di Dio in 2 Corinzi 12:9 non ha come obiettivo principale il perdono (come, per esempio, in Romani 3:24), più volentieri Paolo sta usando la “grazia” in senso più ampio quale espressione della presenza di Dio, che sostiene, rafforza, tranquillizza, sorregge, conforta, incoraggia, soddisfa. “La mia grazia ti basta” significa “Io ti basto”, perché dunque usare la parola “grazia”? Perché il Signore vuole rassicurare Paolo che non ha bisogno di guadagnarsi o meritarsi la Sua presenza, ma è esclusivamente per Grazia.
Questa grazia è ulteriormente spiegata dalla proposizione successiva: “Perché la mia potenza è resa perfetta nella debolezza”. Questa grazia incanala la potenza divina. La presenza del Signore sosterrà Paolo mentre la potenza di Dio lo rafforzerà, e ciò che non deve sfuggirci è che non è la forza di Paolo, ma quella di Dio. Il contributo di Paolo è la debolezza anche se questa non è una concessione in quanto, è proprio ciò con cui Dio desidera operare.
Questo è il mistero, la meraviglia, la gloria del nuovo cristianesimo terreno, unito a un Signore crocifisso: la nostra debolezza non respinge la potenza di Dio, semmai la attrae. La nostra bassezza e le nostre incapacità, che naturalmente temiamo e fuggiamo, sono proprio il luogo in cui Dio ama abitare.
Di conseguenza, gli scopi di Paolo vengono ribaltati in quanto gli era stata data una rivelazione del cielo in 2 Corinzi 12:1-6, ma si trattava della rivelazione del modo in cui il cielo si interseca con i peccatori caduti in 2 Corinzi 12:7-10, cioè attraverso la debolezza umana. La prima rivelazione lo ha portato molto in alto mentre la seconda molto in basso (forse Paolo aveva in mente la sua visione celeste e la sua spina nella carne quando disse in Romani 8 che né “l’altezze né profondità” possono “separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù” [Rm 8,39]).
Questa seconda rivelazione ha invertito la sua fonte di orgoglio perchè, invece di costruire la propria identità sulle proprie aree di forza, egli costruisce la propria identità proprio sulla debolezza che il mondo e la carne negano. Non è nella competenza che risiede la potenza di Dio ma nella fragilità, nella debolezza; è lì che si accende la grazia di Dio, è lì che abita Dio stesso.
Infatti, Paolo usa un linguaggio classico per parlare della potenza di Dio che riposa su di lui (2 Cor 12,9); il verbo “riposare” (episkēnoō) è costruito sulla radice della parola tabernacolo, il tempio trasportabile in cui anticamente dimorava la sola presenza di Dio. Tuttavia, mentre un tempo la potenza di Dio era preclusa a tutti i peccatori deboli e corrotti, ora è proprio la debolezza dei peccatori ad attirare la potenza di Dio; ancora una volta vediamo Paolo indicare tranquillamente che la nuova era è sorta in Cristo e in questa nuova fase, la potenza di Dio non opera nel modo in cui ci aspettiamo
Note:
1.Questo paragrafo e i successivi sono stati tratti da Dane Ortlund 2 Corinzi, nel testo Romani-Galati, vol. 10 dell’ESV Expository Commentary (Wheaton, IL: Crossway, 2020), 547-50. Pubblicato su autorizzazione.
Questo articolo è riadattato da Ministry in the New Realm: A Theology of 2 Corinthians di Dane C. Ortlund.
Traduzione a cura di Yuni Akermi
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Tematiche: Crescita spirituale, Insegnamento biblico, Perseveranza, Sofferenza
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