La sua sofferenza ha innescato un movimento
David Brainerd (1718-1747)
La sua vita è stata breve— 29 anni, 5 mesi e 19 giorni. E solo otto di quegli anni da cristiano. Solo quattro come missionario. Eppure poche vite hanno lasciato tracce fino ad oggi e sono state così profonde come quella di David Brainerd.
Perché la sua vita ha avuto questo impatto? Perché John Wesley disse: “Lasciate che ogni predicatore legga attentamente la vita di David Brainerd”? Perché William Carey ha considerato l’opera “Life of David Brainerd” di Jonathan Edwards come preziosa e santa? Perché Henry Martyn (missionario in India e in Persia) scrisse, come studente a Cambridge nel 1802, “Desidero essere come lui! (Life of David Brainerd, 4)?
Perché la sua vita ha avuto un’influenza così notevole? O forse dovrei porre una domanda più modesta e gestibile: Perché ha avuto un tale impatto su di me? Come mi ha aiutato ad andare avanti nel ministero e a lottare per la santità, la potenza divina e la fecondità nella mia vita?
La risposta è che la vita di Brainerd è una testimonianza vivida e potente della verità che Dio può e fa uso di santi deboli, malati, scoraggiati, maltrattati, solitari, in lotta, che gridano a lui giorno e notte per compiere cose incredibili per la sua gloria. C’è un grande frutto nelle loro afflizioni. Per illustrare questo, guarderemo prima alle lotte di Brainerd, poi a come ha risposto ad esse, e infine a come Dio lo ha usato con tutte le sue debolezze.
Le lotte di Brainerd
Trecento anni fa, Brainerd nacque, il 20 aprile del 1718, a Haddam, nel Connecticut, e si convertì a 21 anni. Durante il suo terzo anno a Yale, dove si stava preparando per il ministero pastorale, qualcuno ha sentito per caso lo zelante Brainerd dire che uno dei suoi tutori non aveva “più grazia di una sedia”. Il Grande Risveglio aveva già creato tensione tra gli studenti risvegliati, la facoltà e il personale apparentemente meno spirituale, così Brainerd, nonostante fosse il primo della sua classe, fu subito espulso.
Anche se nei successivi anni cercò più volte di mettere le cose a posto, Yale non lo riammise mai più. Dio aveva un altro piano per Brainerd. Invece di sei anni tranquilli nel pastorato o nell’aula magna, seguiti da morte e poco impatto storico per il regno di Cristo, Dio intendeva spingerlo nel deserto affinché soffrisse per il suo bene e avesse un’influenza incalcolabile sulla storia delle missioni.
Un corpo malato
Brainerd lottava quasi costantemente contro una malattia.
Dovette lasciare l’università per alcune settimane perché nel 1740 aveva cominciato a sputare sangue. Nel maggio del 1744, scrisse sul suo diario: “Ho cavalcato per diverse ore sotto la pioggia attraverso il paesaggio selvaggio, anche se ero così malato nel mio corpo che poco o niente, se non sangue, proveniva da me” (Life of David Brainerd, 247). Di tanto in tanto scriveva qualcosa del tipo: “Nel pomeriggio il mio dolore aumentava a dismisura; ed ero obbligato a mettermi a letto. . . A volte ero quasi addolorato per l’esercizio della mia ragione a causa dell’estremità del dolore” (253).
Nel maggio del 1747, a casa di Jonathan Edwards, i medici gli dissero che aveva una tubercolosi incurabile e che non gli restava molto da vivere (447). Edwards commenta che nella settimana precedente la morte di Brainerd: “Mi disse che era impossibile per chiunque concepire l’angoscia che sentiva nel suo cuore. Manifestò molta preoccupazione per non disonorare Dio con l’impazienza sotto la sua estrema agonia; il che fu tale che disse che il pensiero di sopportarla un minuto di più era quasi insopportabile”. La notte prima di morire disse a coloro che lo circondavano che “morire era un’altra cosa che nessuno immagina” (475-476).
Una mente disperata
Brainerd lottava contro una ricorrente depressione. Era tormentato più e più volte con i più disperati scoraggiamenti. E la meraviglia è che è sopravvissuto e ha continuato ad andare avanti.
Spesso chiamava la sua depressione una specie di morte. Ci sono almeno 22 punti nel diario in cui desiderava la morte come liberazione dalla sua miseria. Per esempio, domenica 3 febbraio del 1745, scrisse: “La mia anima ricordava ‘l’assenzio e il fiele’ (potrei quasi dire l’inferno) del venerdì scorso; e temevo fortemente di essere costretto a bere di nuovo quella ‘coppa di paura’, che era inconcepibilmente più amara della morte, e mi faceva desiderare la tomba, indicibilmente di più, che conservare ricchezze” (285).
Solo con il senno di poi si vedeva come “un oggetto adatto alla compassione di Gesù Cristo”. Ma nelle ore di oscurità, a volte non provava alcun senso di speranza, né di amore, né di paura. Questo è il lato più pauroso della depressione, poiché le catene del suicidio cominciavano a scomparire. Ma, a differenza di William Cowper, a Brainerd è stata risparmiata la spinta suicida. I suoi desideri di morte sono stati tutti trattenuti entro i limiti della verità biblica “il Signore ha dato e il Signore ha tolto” (Giobbe 1:21). Egli desiderava la morte molte volte, ma solamente che Dio lo prendesse (Life of David Brainerd, 172, 183, 187, 215, 249, per esempio).
È semplicemente sorprendente quanto spesso Brainerd abbia insistito sulle necessità pratiche della sua opera di fronte a queste ondate di scoraggiamento. Questo lo ha senza dubbio affascinato molti missionari che conoscono in prima persona il tipo di dolore che ha sopportato.
Un’anima solitaria
Lui racconta di aver dovuto sopportare i discorsi profani di due sconosciuti una notte dell’aprile del 1743 e dice: “Oh, desideravo che qualche caro cristiano conoscesse la mia angoscia! (204). Un mese dopo dice: “La maggior parte delle chiacchiere che sento sono state fatte da scozzesi delle Highland o da indiani” (204). Non ho nessun altro cristiano al quale possa sfogare il mio dolore spirituale e con il quale possa prendere un dolce consiglio nella conversazione sulle cose celesti e unirmi alla preghiera comune” (207). Questa miseria a volte gli ha impedito di intraprendere altre imprese. Scriveva martedì 8 maggio del 1744: “Il mio cuore a volte era pronto ad affondare con i pensieri del mio lavoro, e andando da solo nel deserto, non sapevo dove” (248).
Brainerd rimase solo nel suo ministero fino alla fine. Durante le ultime diciannove settimane della sua vita, Jerusha Edwards, la figlia diciassettenne di Jonathan Edwards, era la sua infermiera, e molti ipotizzano che tra loro ci fosse un amore profondo (anche romantico). Ma nel deserto e nel ministero, egli era solo e poteva riversare la sua anima solo a Dio. Dio lo animava e gli dava la forza per andare avanti.
Le reazioni di Brainerd
Potremmo continuare a descrivere le altre lotte di Brainerd—le sue immense difficoltà, il suo sguardo cupo sulla natura, la sua difficoltà ad amare gli indiani, le sue tentazioni di lasciare il campo—ma passiamo ora a come Brainerd reagì a queste lotte.
Quello che ci colpisce subito è che ha continuato a insistere. Una delle ragioni principali per cui la vita di Brainerd ha effetti così forti sulle persone è che, nonostante tutte le sue lotte, non ha mai abbandonato la sua fede o il suo ministero. Era consumato dalla passione di finire la sua corsa, di onorare il suo Maestro, di diffondere il regno e di avanzare nella santità personale. È questa fedeltà incrollabile alla causa di Cristo che fa risplendere di gloria la desolazione della sua vita.
Tra tutti i mezzi che Brainerd utilizzava per perseguire una sempre maggiore santità e utilità, spiccano soprattutto la preghiera e il digiuno. Abbiamo letto di lui che passava intere giornate intere in preghiera. Mercoledì 30 giugno del 1742: “Passo quasi tutta la giornata in preghiera incessantemente” (172). A volte metteva da parte fino a sei periodi della giornata per pregare: “Benedetto sia Dio, ho avuto molta libertà cinque o sei volte al giorno, nella preghiera e nella lode, e ho sentito una forte preoccupazione per la salvezza di quelle anime preziose e per l’avanzamento del regno del Redentore in mezzo a loro” (280).
Insieme alla preghiera, Brainerd perseguiva la santità e l’utilità con il digiuno. Nel suo diario racconta sempre di giorni passati a digiunare. Uno dei più notevoli, in vista di come la maggior parte di noi festeggia i propri compleanni, è il digiuno del suo 25° compleanno:
“Mercoledì 20 aprile. Metto da parte questo giorno per il digiuno e la preghiera, per inchinarmi davanti a Dio per l’elargizione della grazia divina; soprattutto perché tutte le mie afflizioni spirituali e le angosce interiori siano santificate nella mia anima… La mia anima era addolorata al pensiero della mia aridità e della mia morte; che ho vissuto così poco alla gloria del Dio eterno. Ho passato la giornata nel bosco da solo, e lì ho riversato il mio lamento a Dio. Oh, che Dio mi permetta di vivere alla sua gloria per il futuro!” (205)
Il frutto delle afflizioni di Brainerd
Come risultato dell’immenso impatto della devozione di Brainerd sulla sua vita, Jonathan Edwards ha scritto, nei due anni successivi, The Life of David Brainerd, che è stato ristampato più spesso di qualsiasi altro libro di Edwards. E attraverso di essa, l’impatto di Brainerd sulla chiesa è stato incalcolabile. Al di là di tutti i famosi missionari che ci dicono di essere stati sostenuti e ispirati da The Life of David Brainerd, quanti altri innumerevoli servitori fedeli sconosciuti devono essersi trovati incoraggiati dalla testimonianza di Brainerd avendo così forza per andare avanti!
Un pensiero che mi entusiasma è che un piccolo sassolino caduto nel mare della storia possa produrre onde di grazia che si infrangono su coste lontane centinaia di anni dopo e a migliaia di chilometri di distanza. Robert Glover riflette su questo pensiero con meraviglia quando scrive,
“Fu la vita santa di Brainerd che influenzò Henry Martyn a diventare missionario e fu un fattore primario di ispirazione per William Carey. Carey a sua volta spinse Adoniram Judson. E così tracciamo il lignaggio spirituale passo dopo passo—Hus, Wycliffe, Francke, Zinzendorf, i fratelli Wesley e Whitefield, Brainerd, Edwards, Carey, Judson, e sempre avanti nella vera successione apostolica della grazia e del potere spirituale e del ministero mondiale”.
(The Progress of World-Wide Missions, 56)
Ma l’effetto più duraturo e significativo del ministero di Brainerd è lo stesso effetto più duraturo e significativo del ministero di ogni pastore. Ci furono alcuni indiani—forse diverse centinaia—che, ora e per l’eternità, devono la loro vita eterna all’amore e al ministero personale di David Brainerd.
Chi può descrivere il valore di un’anima trasportata dal regno delle tenebre, dal pianto e lo stridore dei denti, al regno del Figlio di Dio? Se viviamo 29 anni, o se viviamo 99 anni, non varrebbe forse la pena di salvare una persona dai tormenti eterni dell’inferno per il godimento eterno della gloria di Dio?
Sempre avanti e verso l’alto
Ringrazio Dio per il ministero di David Brainerd nella mia vita—la passione per la preghiera, la pratica spirituale del digiuno, la dolcezza della parola di Dio, l’incessante perseveranza attraverso le difficoltà, l’incessante attenzione alla gloria di Dio, l’assoluta dipendenza dalla grazia, il riposo finale nella giustizia di Cristo, la ricerca di peccatori perduti, la santità durante la sofferenza, il fissare la mente su ciò che è eterno, e finire bene senza maledire la malattia che lo ha spento a 29 anni. Con tutte le sue debolezze, i suoi squilibri e i suoi peccati, io amo David Brainerd.
Oh, che Dio ci conceda una grazia perseverante per diffondere la passione per la sua supremazia in tutte le cose, come Brainerd, per la gioia di tutti i popoli! La vita è troppo preziosa per sprecarla in cose banali. Concedici, Signore, la ferma volontà di pregare e di vivere con l’urgenza di David Brainerd: “Oh, che io non possa mai indugiare nel mio viaggio celeste!”. (186).
Traduzione a cura di Andrea Lavagna
Tematiche: Biografie
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