La perdita di credibilità della Chiesa cattolica e le questioni teologiche in gioco
L’immagine della Chiesa Cattolica Romana delineata dagli scandali sessuali è quella di un’istituzione scompaginata che attraversa un periodo di disordini interni. L’accusa di abusi sessuali su minori o la copertura di tali abusi a carico di esponenti ecclesiastici (cardinali, vescovi, sacerdoti) ed istituzioni (seminari, scuole, la stessa Curia) mina alla base la credibilità morale, spirituale ed istituzionale di Roma.
Gli ultimi dieci anni hanno visto venire alla luce diversi fatti orribili: prima in Irlanda, poi in Australia, in Cile e più recentemente negli USA (dove un dossier di un gran giurì della Pennsylvania ha documentato una realtà di abusi sistematici commessi da preti) e Germania (una recente inchiesta parla di 3677 bambini abusati da preti a partire dal 1940). Si tratta di regioni dove lo svelamento di una realtà traumatica ha significato la fine del silenzio sugli scandali. L’impressione è che quello che siamo ancora all’inizio e che ci sia ancora molto da scavare. La grande eco di questi scandali ha raggiunto le gerarchie vaticane quando l’ex nunzio Carlo Maria Viganò ha accusato ampi settori della Curia romana di coprire questi abusi e chiesto le dimissioni di Francesco per la sua incapacità di far fronte al problema.
Un problema di sistema
Il tema degli abusi sessuali si è imposto in modo sempre maggiore a partire dagli anni di Benedetto XVI. L’allargamento del quadro ha costituito un grave peso per Papa Ratzinger, contribuendo alle sue improvvise dimissioni. La Chiesa cattolica ha cercato di gestire la questione usando l’analogia della “pecora nera”: si tratta di eventi orripilanti ma isolati, la Chiesa se ne sta occupando. Poi, la dimensione e l’estensione dello scandalo hanno evidenziato che il problema non era regionale né limitato a casi individuali, ma radicato nella cultura e nella struttura della Chiesa stessa. Per questo motivo Francesco ha recentemente scritto una lettera ai cattolici (20 agosto) con cui si è appellato al pentimento e he espresso l’intenzione di volere applicare procedure più severe riguardo alla selezione del clero, alla prevenzione degli abusi e all’azione repressiva nei confronti dei responsabili.
La metafora della “pecora nera” non è più adeguata. Il problema è sistemico e pervasivo. La dimensione degli scandali sfida la dottrina dell’indefettibilità della chiesa (romana), ovvero la visione secondo la quale la chiesa non sbaglia mai, ma gli errori possono essere commessi dai suoi “figli” in quanto individui. No, la chiesa è tutta chiamata in questione per l’abuso di migliaia di bambini ad opera dei suoi esponenti.
I temi in questione sono molteplici. Quando all’incirca metà dei sacerdoti sono attivi sessualmente (come evidenziato dal libro Sex and the Vatican), c’è un problema strutturale. È più del fallimento di molti individui. È il fallimento di un intero sistema, delle sue dottrine, delle sue politiche, delle sue prassi e così via. Come scrive il già menzionato Carlo Maria Viganò, già nunzio negli USA: “le reti omosessuali nel clero devono essere sradicate. Queste reti di omosessuali, ormai diffuse in molte diocesi, seminari, ordini religiosi, ecc., agiscono coperte dal segreto e dalla menzogna con la potenza dei tentacoli di una piovra e stritolano vittime innocenti, vocazioni sacerdotali e stanno strangolando l’intera Chiesa”. Come tratterà la Chiesa la questione dell’omosessualità tra i suoi preti e membri? La struttura gerarchica sarà usata per difendere le vittime o si chiuderà a riccio nella speranza di difendersi? Questi interrogativi non hanno ancora una risposta.
Più di una questione morale
Chiaramente ogni istituzione, ogni chiesa, ogni comunità, ogni denominazione è soggetta a errori. In questo senso, il problema non riguarda solo la chiesa cattolica. Il Signore Gesù ci ricorda di non esprimere giudizi ipocriti nei confronti degli altri come se noi fossimo esenti dall’errore. Se siamo tentati di dire “Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza”, dobbiamo fare attenzione a non avere una trave nel nostro occhio (Matteo 7,4). Detto ciò, le dimensioni dello scandalo implicano più di un semplice fallimento.
Il già citato dossier del gran giurì della Pennsylvania sostiene che:
Ci sono stati altri resoconti di abusi su minori nella Chiesa Cattolica. Ma mai su questa scala. Per molti di noi quelle storie erano accadute lontano, in luoghi remoti. Ora conosciamo la verità: è successo dappertutto. Abbiamo ascoltato decine di testimonianze relative ad abusi sessuali ad opera del clero. Abbiamo raccolto e rivisto mezzo milione di pagine di documenti provenienti dalle diocesi. Tali documenti contenevano accuse credibili relative a più di trecento preti pedofili. Più di mille vittime erano identificabili solo grazie agli archivi della chiesa. Considerando i bambini i cui dossier sono andati perduti e quelli troppo impauriti per farsi avanti, riteniamo che il vero numero si calcoli in migliaia. La maggior parte delle vittime erano bambini, ma sono state coinvolte anche bambine. Alcuni erano adolescenti, molti erano in età prepuberale. Alcuni sono stati manipolati con alcol o pornografia. Alcuni sono stati costretti a masturbare i loro aggressori, o sono stati palpati da questi. Alcuni hanno subito stupri orali, vaginali o anali. Ma tutti costoro, in ogni parte dello Stato, sono stati liquidati da esponenti ecclesiastici che hanno preferito proteggere chi aveva abusato di loro e soprattutto l’istituzione.
In persona Christi?
Una crisi istituzionale e morale? Sì, ma non solo. Viene da chiedersi se qualche elemento determinante al presente quadro di disastro morale non si trovi proprio nella teologia cattolica: non da solo, ma non per questo insignificante. Il problema sta nella teologia cattolica del sacerdozio e, in particolare, nell’associazione organica tra il sacerdote e Cristo. Il sacerdote, attraverso il suo ufficio, agisce in persona Christi, come se fosse Cristo stesso. Nel cattolicesimo romano, il prete agisce “in persona di Cristo” pronunciando le parole attraverso le quali il pane diventa corpo di Cristo e il vino sangue di Cristo. Il prete agisce “in persona di Cristo” pronunciando il perdono di Dio nel sacramento della confessione. Il prete e il vescovo agiscono in persona di Cristo, in quanto capo, attraverso la loro autorità sulla chiesa. Il prete non si limita a rappresentare Cristo, ma agisce come se fosse Lui.
Questa dottrina si basa sulla comprensione cattolica della relazione tra Cristo e la chiesa. Secondo Roma, quest’ultima prosegue e prolunga l’incarnazione di Cristo.Nella sua fondamentale opera sulla teologia cattolica, Gregg Allison parla di “interconnessione Cristo-Chiesa” (Roman CatholicTheology and Practice, pp. 56-66). La chiesa agisce in persona Christi in quanto porta avanti l’incarnazione dopo l’ascensione di Cristo, come se essa stessa fosse Cristo, rivendicando la sua autorità, richiedendo l’obbedienza a Lui dovuta, governando in Suo nome e al Suo posto.
Quando i leader della chiesa e i fedeli operano all’interno di questa cornice teologica, il “controllo” delle coscienze diventa una conseguenza naturale, determinando inoltre uno stato di sottomissione e subalternità emotiva. Quando il sacerdote (e la chiesa che gli attribuisce autorità e lo protegge) agisce in persona Christi, pensa di non dover rendere conto delle sue azioni a chi sta sotto di lui. Il suo status sacerdotale è in qualche modo superiore a quello della gente qualunque, più in basso. Inoltre, le strutture imperiali e verticistiche della gerarchia della Chiesa di Roma forniscono a malvagi prelati un’altra ragione teologica per approfittarsi di persone più deboli e di status inferiore.
Chiaramente ci sono altri motivi di ordine sociologico e storico che possono spiegare gli abusi di cui stiamo venendo a sapere, ma la teologia che concepisce il sacerdote come agente in persona Christi ha contribuito alla creazione di un’atmosfera spirituale e culturale di potere in cui gli abusi solo tollerati. Potrà la Chiesa di Roma cambiare questa visione del sacerdozio come uno status separato e in qualche modo superiore in quanto agente in persona Christi?
Come Martin Lutero scrisse nel suo discorso Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca (1520), la chiesa di Roma aveva bisogno di una riforma biblica della sua teologia del sacerdozio basata sull’interconnesione Cristo-Chiesa. Secondo la Bibbia e la Riforma Protestante, solo Cristo è a capo della chiesa, e i suoi membri sono tutti ugualmente dotati di un ruolo sacerdotale. Nessuno è “superiore” a nessun altro. Lo Spirito Santo, non un’istituzione né un gruppo sociale, è il solo definibile come agente in persona Christi. Questa è una seria riforma di cui Roma aveva bisogno allora come oggi. Potrà Roma aprirsi al cambiamento anziché difendere una struttura tradizionale e sacramentale che ha perso la sua credibilità?
Tematiche: Cultura e Società, Storia della Chiesa, Teologia
© ReformandaInitiative, © Coram Deo
Il presente articolo può essere utilizzato solo facendone previa richiesta a Coram Deo. Non può essere venduto e non si può alterare il suo contenuto.