Il suo cuore ferito trasudava di Bibbia
JOHN BUNYAN (1628-1688)
Nel 1672, a Bedford, a circa settanta km a nord-ovest di Londra, John Bunyan fu liberato dopo dodici anni di prigionia. Come per i santi sofferenti in passato e oggi, Bunyan comprese che la prigione fosse un dono doloroso e pieno di frutti. Avrebbe capito le parole di Aleksandr Solzhenitsyn, trecento anni dopo, che come Bunyan ha trasformato la sua prigionia in un’opera d’arte in grado di cambiare il mondo. Dopo la sua prigionia nel gulag russo dei “campi di lavoro” di Stalin, Solzhenitsyn scrisse:
“Ritorno agli anni della mia prigionia e dico, a volte con lo stupore delle persone che mi sono intorno: ‘Che tu sia benedetta, prigione!’. Io… ho trascorso molto tempo in quella prigione. Lì ho nutrito la mia anima e dico senza esitazione: ‘Che tu sia benedetta, prigione, per esserci stata nella mia vita!’” (Arcipelago Gulag)
Come può un uomo pronunciare una benedizione sulla prigionia? La vita e il lavoro di Bunyan danno una risposta.
Gli inizi dell’opera di Dio
John Bunyan nacque a Elstow, a circa due km a sud di Bedford, in Inghilterra nel 1628. Bunyan imparò il mestiere della lavorazione dei metalli, o “stagnino ambulante”, da suo padre. Ricevette l’istruzione ordinaria dei poveri per leggere e scrivere, ma niente di più. Non aveva un’istruzione superiore formale di alcun tipo, il che rende la sua scrittura e la sua influenza ancora più sorprendente.
Bunyan non era un cristiano durante gli anni della sua giovinezza. Dice: “Avevo pochi eguali, soprattutto considerando i miei anni… per aver maledetto, giurato, mentito e bestemmiato il santo nome di Dio”… Fino a quando non mi sono sposato, sono stato il capo di tutti i giovani che mi hanno tenuto compagnia in ogni sorta di vizio e di empietà” (Grace Abounding to the Chief of Sinners, pp. 10-11.)
Lui “è arrivato al matrimonio” quando aveva 20 o 21 anni, ma il nome della sua prima moglie non è noto. Quello che sappiamo è che era povera, ma aveva un padre credente che era morto e le aveva lasciato due libri che lei portò con sé: The Plain Man’s Pathway to Heaven e The Practice of Piety. Bunyan disse: “A volte leggevo questi libri con lei e trovavo anche alcune cose che mi piacevano un po’, ma tutto questo senza alcuna convinzione”. (Grace Abounding, p. 13.) Dio però aveva iniziato la sua opera in lui attirando a sé in modo irreversibile il giovane sposo Bunyan.
“La tua giustizia è il cielo”
Durante i primi cinque anni di matrimonio, Bunyan si convertì profondamente a Cristo nella chiesa battista e anticonformista di Bedford. Fu un processo lungo e doloroso.
Passava in rassegna le Scritture, ma non trovava pace e sicurezza. Ci furono stagioni di grandi dubbi sulle Scritture e sulla sua stessa anima. “Un intero diluvio di bestemmie, sia contro Dio e Cristo, sia contro le Scritture, si riversò sul mio spirito, con mia grande confusione e stupore… Come si può dire che i turchi hanno delle scritture per dimostrare che il loro Maometto era il salvatore allo stesso modo in cui noi possiamo dimostrare che il nostro Gesù lo è? (Grace Abounding, p. 40.) Il mio cuore a volte era troppo duro. Se mi fossero state date mille sterline per una lacrima, non avrei potuto versarne una”. (Grace Abounding, p. 43.)
Poi arrivò quello che sembrava essere il momento decisivo.
“Un giorno, mentre passavo per il campo… questa frase discese sulla mia anima: «La tua giustizia è in cielo». Ho pensato di aver visto con gli occhi dell’anima mia Gesù Cristo alla destra di Dio; là, dico, c’era la mia giustizia. Così ovunque fossi o qualunque cosa stessi facendo, Dio non poteva dire di me: “Lui è privo della Mia giustizia”, in quanto essa stava dinnanzi a Lui. Inoltre, ho anche visto che non era la mia buona condizione del cuore che rendeva migliore la mia giustizia, né la mia cattiva condizione che rendeva peggiore la mia giustizia, perché la mia giustizia era Gesù Cristo stesso, ‘lo stesso ieri, oggi e per sempre’ (Ebrei 13:8). Ora mi sono cadute davvero le catene dalle gambe”. (Grace Abounding, pp. 90-91.)
Così nel 1655, quando la questione della sua anima fu risolta, gli fu chiesto di esortare la chiesa e improvvisamente si scoprì che era un grande predicatore. Non avrebbe avuto il ruolo di pastore della chiesa di Bedford fino a diciassette anni dopo, ma la sua popolarità come potente predicatore laico esplose e la portata del suo lavoro crebbe. “Quando il paese capì che… l’imbroglione era diventato predicatore”, ci racconta il biografo John Brown, “vennero centinaia di persone da tutte le parti per ascoltarlo”. (John Bunyan: His Life, Times, and Work, p. 105.) Nei giorni della tolleranza religiosa dell’Inghilterra, bastava un giorno di preavviso per far sì che una folla di 1.200 persone lo sentisse predicare alle sette del mattino in un giorno feriale. (John Bunyan, p. 370.)
La prigione e una coscienza pura
Dieci anni dopo il loro matrimonio, quando Bunyan aveva trent’anni, sua moglie morì lasciandolo con quattro figli sotto i dieci anni, uno dei quali cieco. Un anno dopo, nel 1659, sposò Elizabeth, una donna straordinaria. Tuttavia, un anno dopo il loro matrimonio, Bunyan fu arrestato e messo in prigione per non essersi conformato agli standard della Chiesa Alta di Carlo II, il nuovo re della nazione. Elizabeth era incinta del loro primogenito ed ebbe un aborto spontaneo a causa di questo sconvolgimento. Si prese cura dei quattro figli come matrigna per dodici anni da sola e diede alla luce altri due figli, Sarah e Joseph.
Per dodici anni Bunyan scelse la prigione e una coscienza pura piuttosto che la libertà e una coscienza sporca per non predicare. Avrebbe potuto avere la sua libertà quando avrebbe voluto, ma lui ed Elizabeth erano fatti della stessa pasta. Anche se a volte era tormentato dal fatto di non prendere la decisione giusta nei confronti della sua famiglia, quando gli si chiedeva di ritrattare e di non predicare, diceva:
“Se non faccio della mia coscienza una continua carneficina… Ho deciso, essendo Dio Onnipotente il mio aiuto e il mio scudo, di soffrire ancora, se la vita fragile può continuare così a lungo, anche fino a quando il muschio non mi crescerà sulle sopracciglia, piuttosto che violare così la mia fede e i miei principi”. (John Bunyan, p. 224.)
Nel 1672 fu rilasciato dal carcere a causa della Dichiarazione di Indulgenza Religiosa. Immediatamente, fu riconosciuto come pastore della chiesa di Bedford, che aveva servito per tutto il tempo anche dall’interno del carcere con scritti e visite periodiche. Il primo edificio fu acquistato e ristrutturato in un fienile, dove Bunyan svolse il suo ministero di pastore per i successivi sedici anni, fino alla sua morte. (Ci fu un’altra prigionia nell’inverno e nella primavera del 1675-76. John Brown pensa che questo fu il periodo in cui fu scritto Il pellegrinaggio del cristiano.)
Nell’agosto del 1688, Bunyan viaggiò per settanta km fino a Londra per predicare e per aiutare un uomo della sua chiesa a riconciliarsi con il padre lontano. Ebbe successo in entrambe le missioni, ma dopo un viaggio in un quartiere periferico tornò a Londra a cavallo sotto piogge intense. Si ammalò con una febbre violenta e il 31 agosto del 1688, all’età di 60 anni, seguì il suo famoso pellegrinaggio immaginario dalla Città della Distruzione attraverso il fiume nella Città Celeste.
“Gesù non è stato così reale”
Quindi, la domanda che pongo davanti alla sofferenza di Bunyan è questa: “Quali sono stati i suoi frutti? Che cosa portarono nella sua vita e, attraverso di lui, nella vita degli altri?”.
Sapendo che sto tralasciando molte cose importanti, risponderei con una sola osservazione: la sua sofferenza l’ha spinto dentro la Parola e gli ha aperto la Parola.
La prigione è stata per Bunyan un luogo sacro di comunione con Dio perché la sua sofferenza gli ha rivelato la Parola e gli ha fatto sperimentare una profonda comunione con Cristo più di quanto lui l’abbia mai vissuta prima. Egli scrisse:
“Non ho mai avuto in tutta la mia vita un così grande accesso alla Parola di Dio come ora [in prigione]. Quelle Scritture in cui non vedevo nulla prima, mi sono state rivelate in questo luogo e in questo stato per risplendere su di me. Anche Gesù Cristo non è mai stato così reale e visibile come ora. Qui l’ho visto e l’ho sentito davvero… Non ho mai saputo che cosa fosse per Dio stare al mio fianco in ogni momento e a oltraggio di Satana, come l’ho scoperto da quando sono arrivato qui”. (Grace Abounding, p. 121.)
Bunyan aveva particolarmente a cuore le promesse di Dio come chiave per aprire la porta del cielo. “Ti dico, amico mio, che ci sono alcune promesse che il Signore mi ha aiutato ad afferrare attraverso e per mezzo di Gesù Cristo che non sarei riuscito a trarre dalla Bibbia per tutto l’oro e l’argento che si possono trovare tra York e Londra ammucchiati fino alle stelle”. (Works of John Bunyan, vol. 3, p. 721.)
Una delle più scene più belle riportate nell’opera Il pellegrinaggio del cristiano è quella in cui Cristiano ricorda, nella prigione del Castello del Dubbio, di avere la chiave della porta. Molto significativo non è solo ciò che la chiave è, ma anche dove si trova:
“Che sciocco sono io a giacere in una prigione puzzolente, quando posso anche camminare in libertà! Ho una chiave nel mio petto, chiamata Promessa che, sono persuaso, aprirà qualsiasi serratura del Castello del Dubbio. Poi disse: “Spera, questa è una buona notizia, buon fratello; prendila dal tuo petto e provaci”. Allora Cristiano la tirò fuori dal suo petto e cominciò a provarla nella porta della prigione, il cui chiavistello (mentre girava la chiave) cedette, la porta si aprì con facilità e Cristiano e Speranzoso uscirono entrambi. (Il pellegrinaggio del cristiano, p. 132.)
Tre volte Bunyan dice che la chiave era nel petto di Cristiano. Suppongo che questo significhi che Cristiano l’aveva nascosta nel suo cuore con la memorizzazione e che ora era accessibile in prigione (anche se non aveva la Bibbia a disposizione) proprio per questo motivo. È così che la Parola sosteneva e rafforzava Bunyan.
Trasudava Bibbia
Tutto ciò che scriveva era saturo di Bibbia. Si dilettava con la sua Bibbia inglese, che era tutto ciò che aveva per la maggior parte del tempo. Per questo può dire dei suoi scritti: “Non ho mai pescato queste cose nelle acque di altri uomini; la mia Bibbia e la Concordanza sono la mia unica documentazione nei miei scritti”. (John Bunyan, p. 364.) Il grande predicatore londinese Charles Spurgeon, che ogni anno leggeva Il pellegrinaggio del cristiano, diceva così:
“Punzecchiatelo ovunque e scoprirete che il suo sangue è la Bibbia, l’essenza stessa della Bibbia sgorga da lui. Non può parlare senza citare un testo perché la sua anima è piena della Parola di Dio”. (Autobiography, vol. 2, p. 159.)
Questo, alla fine, è il motivo per cui Bunyan è ancora con noi oggi, piuttosto che sparire nella nebbia della storia. Egli è con noi e ci ministra perché venerava la Parola di Dio e ne era talmente permeato che il suo sangue “era Bibbia”: l’essenza della Bibbia sgorgava da lui.
Questo è ciò che ci ha dimostrato: servire e soffrire radicati in Dio è servire e soffrire saturi della Parola di Dio. Questo è il modo in cui dobbiamo vivere, questo è il modo in cui dobbiamo soffrire. Se siamo chiamati a essere conduttori tra il popolo di Dio, questo è il modo in cui aiuteremo il nostro popolo ad arrivare sano e salvo alla Città Celeste. Li attireremo con la Parola, diremo loro ciò che Bunyan disse al suo popolo e che io dico a te, caro lettore:
“Dio è giunto fino alla porta dell’inferno, dove tu eri, fino alla porta del cielo, dove stai andando, con i fiori del suo giardino. Ecco come le promesse, gli inviti, i richiami e gli incoraggiamenti, come gigli, sono stesi intorno a te! Fa attenzione a non calpestarli sotto i tuoi piedi”. (Come and Welcome to Jesus Christ, p. 112)
Traduzione a cura di Andrea Lavagna
Tematiche: Biografie
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