Il grande contributo della Riforma
“Evangelion (ciò che noi chiamiamo vangelo) è una parola greca e significa buona, allegra, felice e gioiosa novella, che rende lieto il cuore di un uomo e lo fa cantare, ballare e saltare di gioia”.
Così scriveva William Tyndale nei primi anni della Riforma. Perché il fatto che lui, peccatore fallito, fosse perfettamente amato da un Dio benevolo e rivestito della stessa giustizia di Cristo, diede a Tyndale una immensa felicità. E non era solo: solo pochi anni prima, Lutero scrisse di sentirsi “del tutto rinato”, come se “fosse entrato nel paradiso stesso attraverso cancelli aperti”.
Questo fu l’effetto della teologia della Riforma su chi l’abbracciò: una gioia inesprimibile. Attraverso la sola giustificazione per grazia, attraverso la sola fede in Cristo, Dio è stato glorificato perché è stato visto assolutamente misericordioso, buono, supremamente santo e compassionevole – e quindi gli uomini hanno potuto trovare in lui conforto e gioia. Attraverso l’unione con Cristo, i credenti potevano godere di una solida posizione di fronte a Dio, conoscendolo gioiosamente come il loro “Abba” (Romani 8:15), fiduciosi che egli fosse potente per salvare e custodirli fino alla fine.
La gloria di Dio e la gioia in lui – queste inseparabili verità gemelle, furono luci guida per la Riforma e ne costituirono un grande lascito. I riformatori sostennero che, attraverso tutte le dottrine per cui avevano combattuto e che avevano sostenuto, Dio era glorificato e gli uomini ricevevano conforto e letizia. E attraverso queste verità, la vita può ancora fiorire e prosperare sotto la luce gioiosa della gloria di Dio.
Piccola gloria, piccola gioia
La Riforma iniziò nell’ottobre del 1517 con una scaramuccia sull’idea del purgatorio. Il purgatorio era la soluzione cattolica al fatto che nessuno sarebbe morto abbastanza virtuosamente da meritare pienamente la salvezza. Si diceva che fosse il luogo dove le anime cristiane sarebbero andate dopo la morte per far sì che tutti i loro peccati venissero lentamente espulsi da loro affinché si completasse il processo che li avrebbe resi giusti o retti.
Ma per i riformatori, il purgatorio divenne rapidamente il simbolo di tutto ciò che era sbagliato nella visione cattolica della salvezza. Giovanni Calvino scrisse:
“Il purgatorio è una finzione mortale di Satana, che annulla la croce di Cristo, infligge un insopportabile disprezzo alla misericordia di Dio, rovescia e distrugge la nostra fede. Infatti, cosa significa questo loro purgatorio se non che la redenzione dai peccati è pagata dalle anime dei morti?… Ma se è perfettamente chiaro… che il sangue di Cristo è l’unica redenzione per i peccati dei credenti, l’unica espiazione, l’unica purgazione, cosa resta se non dire che il purgatorio è semplicemente una terribile bestemmia contro Cristo?”.
La sua logica è semplice: il purgatorio spoglia Cristo della sua gloria di Salvatore misericordioso e pienamente sufficiente; distrugge anche ogni gioia fiduciosa in noi. Nessuna gioia per noi, nessuna gloria per Cristo. Questo andava completamente contro il pensiero della Riforma, che si preoccupò con tanta passione delle verità gemelle sopracitate.
Teologia felice del Dio felice
Lo stesso Lutero conosceva fin troppo bene gli effetti della sua teologia antecedente la Riforma. Il bisogno di avere meriti personali dinnanzi a Dio lo ha lasciato privo di gioia e pieno di odio per Dio. Il giovane Lutero non poteva gioire. Era l’inevitabile ricaduta di una teologia in cui il peccato era qualcosa che potevamo superare noi stessi, e quindi, Cristo era reputato un piccolo o solo un semi-salvatore.
E così rimane in altre tradizioni cristiane come l’ortodossia orientale e il cattolicesimo romano: Dio non è glorificato come nell’insegnamento della Riforma. Il peccato è un problema minore e quindi Cristo è anche un salvatore minore. C’è, molto semplicemente, meno gloria da cui trarre gioia. Senza conoscere la sicurezza dell’accettazione, non si può avere tale gioia in Dio.
Senza sapere che, semplicemente per piacere, Dio ha mandato suo Figlio come nostro Salvatore, colui che è sufficiente a salvarci per grazia, non si può avere una tale gioia. Non vedrete in lui una tale profondità di gloria. La profondità del nostro problema, la grandezza della grazia e del sacrificio di Cristo ci mostrano la bellezza e la magnificenza della gloria di Dio.
Ciò che i riformatori hanno visto, soprattutto attraverso il messaggio della giustificazione attraverso la sola fede, è stata la rivelazione di un Dio esuberantemente felice che si gloria di condividere la sua felicità. Non un Dio avaro o utilitaristico, ma un Dio che si gloria della sua grazia. Per questo la fede dipendente lo glorifica (Romani 4:20). Rubare la sua gloria rivendicando un qualsiasi merito per noi stessi non farebbe altro che rubare la nostra gioia in un Dio così meraviglioso.
L’inizio del sentiero della giustificazione
La giustificazione per fede è stata la questione principale della Riforma. Ma essa era l’inizio di un cammino di grazia che ci portava dal perdono offerto nel vangelo a colui che perdona e all’autore del vangelo. E così le dottrine della Riforma vanno oltre sé stesse. Noi cristiani non solo ringraziamo Dio per la sua grazia verso di noi, ma cominciamo anche a lodarlo per la sua benevolenza, meravigliosa premura e misericordia che si rivela nella croce.
Nel Vangelo, i riformatori non solo hanno visto per noi una buona notizia di salvezza, ma anche un Dio che ama prima di tutto i peccatori, non uno che si limita ad approvare coloro sono apposto (Romani 5:6). La gloria di questo Dio è diventata la radice della vera soddisfazione e della gioia per i credenti – è diventata la loro luce guida e meta finale. Vediamo, ad esempio, come Lutero – l’uomo che una volta disse di odiare Dio – poté venire a parlare di Dio nella sua gloria e nel suo amore:
“L’amore di Dio non trova, ma crea ciò che gli è gradito… L’amore di Dio ama i peccatori, le persone malvagie, gli stolti e i deboli per renderli giusti, buoni, saggi e forti. Piuttosto che cercare il proprio bene, l’amore di Dio fluisce e dona il bene. Perciò i peccatori sono “attraenti” perché sono amati; non sono amati perché sono ‘attraenti'”.
Trovare la felicità
La gloria di Dio e la gioia dei santi che ne derivava era la preoccupazione dei riformatori. Tale preoccupazione entrò così tanto nelle venature protestanti che il compositore luterano Johann Sebastian Bach, soddisfatto delle sue composizioni, vi scriveva “S.D.G.” per Soli Deo Gloria (“Solo a Dio la gloria”). Perché attraverso la sua musica voleva far risuonare la bellezza e la gloria di Dio, così da essere gradita sia a Dio che agli uomini. La gloria di Dio, credeva Bach, risuona liberamente in tutto il creato, portando gioia ovunque sia apprezzata. E per questo vale la pena viverla e promuoverla.
Infatti, scriveva Calvino, questo è il segreto della felicità e della vita. “È necessario” – diceva – “che usciamo da noi stessi per trovare la felicità. Il principale bene dell’uomo non è altro che l’unione con Dio”.
In opposizione a tutto quello che ci viene detto oggi, la felicità non si trova in noi stessi, nell’apprezzare la nostra bellezza o nel convincerci di essa. La felicità profonda, duratura e soddisfacente si trova nel Dio totalmente glorioso. Tutto questo è in realtà solo un altro modo di dire con il catechismo minore di Westminster:
Qual è il fine ultimo dell’uomo?
Il fine ultimo dell’uomo è quello di glorificare Dio e di gioire in lui in eterno.
Traduzione a cura di Davide Ibrahim
Libro suggerito per l’approfondimento:
Tematiche: Cristianesimo, Riforma, Risveglio spirituale, Storia, Storia della Chiesa, Teologia, Vangelo, Verità
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