Esiste una differenza fra pastori e anziani? (1 Timoteo 3)

Questa parola è sicura: Se uno desidera l’ufficio di vescovo, desidera un buon lavoro. 2 Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, assennato, prudente, ospitale, atto ad insegnare, 3 non dedito al vino, non violento, non avaro, ma sia mite, non litigioso, non amante del denaro; 4 uno che governi bene la propria famiglia e tenga i figli in sottomissione con ogni decoro; 5 (ma se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?). 6 Inoltre egli non sia un neoconvertito, perché non gli avvenga di essere accecato dall’orgoglio e non cada nella condanna del diavolo. 7 Or bisogna pure che egli abbia una buona testimonianza da quelli di fuori, affinché non cada nell’ingiuria e nel laccio del diavolo. – 1 Timoteo 3:1-7

 

 

Ruoli di autorità nella chiesa

“Questa parola è sicura” (espressione che riprende il commento in 1 Timoteo 1:15) si riferisce con ogni probabilità alle parole che seguono. In tal senso, questa “parola sicura” riguarda coloro che desiderano essere “vescovi” nella chiesa. “L’ufficio di vescovo” è definito in un singolo termine, episkopes. Secondo BDAG, episkopes definisce il ruolo di un episkopos (menzionato al versetto 2 e tradotto con “vescovo”), ovvero un incarico di “monitoraggio, supervisione”. Questo termine può essere usato in riferimento al mandato di chi conduce la chiesa. Chiunque aspiri ad un incarico simile, desidera qualcosa di buono e “nobile”.

Sebbene la maggior parte delle versioni traducano il termine episkopes con “l’incarico di vescovo”, questa espressione suggerisce erroneamente ai lettori l’idea di una gerarchia ecclesiale. I cattolici romani, ad esempio, credono che il vescovo eserciti autorità sopra i ministri di culto. Uno sguardo più attento a questo passo e ai termini a esso correlati rivela l’errore interpretativo alla base dell’idea che l’episkopos (letteralmente supervisore) ricopra un ruolo di autorità sopra gli anziani. Il motivo principale risiede nel fatto che Paolo ed altri autori del NT utilizzano sia questo termine sia quello tradotto con “anziano” in modo intercambiabile. Prendiamo ad esempio Tito 1:5-7:

5 Per questa ragione ti ho lasciato a Creta, affinché tu metta ordine alle cose che restano da fare e costituisca degli anziani in ogni città, come ti ho ordinato (…)  7 Il vescovo infatti, come amministratore della casa di Dio, deve essere irreprensibile (…) (Tito 1:5-7)

Qui risulta chiaro che i termini ‘anziano’ e ‘vescovo’ sono usati in maniera intercambiabile. Similmente, in 1 Timoteo 5:17, Paolo utilizza il termine anziano laddove i lettori si aspettano di trovare il termine vescovo (o ‘supervisore’, in altre versioni). In questo modo, Paolo rivela che si tratta di due espressioni che si riferiscono allo stesso incarico.

Paolo non è l’unico autore del NT a parlare in questi termini. In 1 Pietro 5:1-2 l’apostolo esorta gli “anziani” a “pascere” il gregge di Dio “sorvegliandolo” (episkopeo, letteralmente sorvegliare, motivo per cui alcune traduzioni anglofone lo rendono con overseer, supervisore). Pietro ricorre anche ad un terzo concetto con il verbo pascere (poimaino), da cui deriva il sostantivo “pastore” (poimen; cf Efesini 4:11). In due versetti, Pietro riunisce ben tre differenti gruppi di parole in riferimento ad un unico incarico di leadership della chiesa: supervisore, pastore ed anziano. Pietro conferma quanto emerge dall’intero NT: gli autori delle Scritture usano questi tre termini per indicare un solo incarico.

C’è un ulteriore testo che conferma l’intercambiabilità di questi termini. Nell’ultimo incontro fra Paolo e gli anziani di Efeso (Atti 20:17-38), Luca scrive che Paolo raduna gli “anziani”, chiamandoli “vescovi” o “supervisori”, e li esorta a “badare al gregge” (letteralmente “pascere”) ad Efeso (Atti 20:17,28).

Dunque, anche Luca utilizza questi termini in modo intercambiabile all’interno dello stesso capitolo. Di conseguenza, quando Paolo afferma che colui che aspira all’incarico di vescovo sta desiderando qualcosa di buono, egli sta facendo riferimento ad un solo incarico all’interno della leadership della chiesa: pastore/anziano/vescovo.

 

 

Leader irreprensibili

Paolo dichiara che il supervisore dev’essere “irreprensibile”, il che implica che egli abbia, verso l’esterno, una “reputazione che dia credito alla chiesa.” [1]Molti commentatori ritengono che la prima affermazione menzioni una caratteristica generale e che il successivo elenco sia un approfondimento dei requisiti che costituiscono questa “irreprensibilità”. L’elenco, in questo caso, si concentrerebbe non tanto sui doni quanto piuttosto sul temperamento (o il carattere). Un aspetto riguarda certamente un dono (“atto ad insegnare”), ma non rappresenta la totalità delle caratteristiche e non è comunque quello che Paolo mette maggiormente in risalto.

Il primo requisito è che un uomo che aspira a tale incarico debba essere “marito di una sola moglie.” Ci sono almeno quattro differenti punti di vista sul significato di questa espressione:

  • Alcuni pensano che questo requisito implichi che gli anziani debbano semplicemente essere sposati, ma questa interpretazione è inverosimile perché Paolo afferma allo stesso tempo che un anziano debba avere “figli in sottomissione” (v.4): di certo non si sta affermando che l’infertilità sia una caratteristica squalificante per l’anzianato. Si sta asserendo, piuttosto, che nel caso in cui un anziano abbia figli, è necessario che essi siano sottomessi alla sua autorità. Analogamente, si vuole dire che nel caso in cui un anziano abbia una moglie, è necessario che egli le sia fedele. Un’interpretazione differente, inoltre, squalificherebbe automaticamente sia Paolo che Gesù stesso dall’incarico di pastore, essendo entrambi non sposati. Questo rende questa interpretazione alquanto improbabile.
  • Altri ritengono che Paolo stia dichiarando che un supervisore non debba praticare la poligamia. Tuttavia, sebbene ci fossero dei poligami nel popolo giudeo del primo secolo, questa pratica era contraria alla legge Romana. In più, era la monogamia la “norma” sia per i Giudei che per i Greci di quell’epoca.[2] Paolo non avrebbe avuto necessità di affrontare una questione simile. Inoltre, in 1 Timoteo 5:9 appare la frase “moglie di un solo marito”, ma nessuno ritiene che Paolo si stesse riferendo alla poligamia in questo passaggio. Tutti questi aspetti ci conducono alla conclusione che Paolo non stia parlando di poligamia nemmeno in 1 Timoteo 3:2.
  • Ci sono tuttavia altri che sostengono che questo requisito indichi la necessità, per un supervisore, di avere una sola moglie durante l’intera durata della propria vita; una simile lettura escluderebbe gli uomini divorziati ed i vedovi da qualunque incarico pastorale, il che appare comunque poco credibile. Il divorzio ha sicuramente una certa rilevanza quando si tratta di valutare se un uomo sia più o meno adatto al ministero, ed è opportuno verificare i tempi e le circostanze che lo hanno condotto, in passato, ad una scelta del genere. Ma è alquanto probabile che Paolo non abbia intenzione di trattare questo argomento in questo contesto. Egli afferma altrove che è permesso per le vedove ed i vedovi risposarsi qualora essi si sentano spinti a farlo (1 Corinzi 7:9), ed incoraggia le giovani vedove alle seconde nozze (1 Timoteo 5:14). Ad ogni modo, questo non impedisce loro di essere mogli “di un solo marito” (come dice in 1 Timoteo 5:9). Per queste ragioni, l’espressione “marito di una sola moglie” non significa ‘un uomo che si è sposato una sola volta.’
  • Vi è un ultimo gruppo di commentatori che crede che Paolo stia affermando l’importanza che il supervisore resti fedele alla propria moglie; il testo, letteralmente, dice che il pastore deve essere “l’uomo di una donna” (cf ESV). L’anziano deve dunque essere fedele a sua moglie in una relazione di monogamia. Il fatto di dover essere “l’uomo di una donna” renderebbe dunque illecita sia la promiscuità che l’omosessualità. Un responsabile di chiesa deve fornire un saldo modello di onore, amore e devozione nei confronti di sua moglie.[3]

Il successivo tratto distintivo di un anziano è la “sobrietà”. Egli deve avere una mente lucida ed una buona capacità di giudizio.

In più, gli anziani devono essere “assennati”. Il corrispondente termine greco è sophrona, che significa “avere controllo di sé, essere riflessivo e prudente” (BDAG). Questa definizione indica qualcuno che non è guidato dai propri istinti, lussurie o idolatrie, bensì dallo Spirito Santo. Questa espressione può essere applicata anche alla sfera della decenza sessuale.[4]

Il requisito di essere “prudente” denota delle “qualità che attirino l’ammirazione o la stima” (BDAG, кόσμιος). Queste qualità riescono a produrre questo tipo di effetto perché riguardano quella ‘condotta’ e quel ‘contegno’ visibili all’esterno[5].

L’indicazione che un anziano sia “ospitale” implica che la sua casa debba essere aperta per rispondere ai bisogni degli altri. La sua porta non si chiude davanti alle richieste di chi necessita un aiuto materiale. L’aggettivo tradotto con “atto a insegnare” appare solo un’altra volta nella versione greca del NT (2 Timoteo 2:24). In entrambi i casi essa descrive qualcuno abile nell’insegnamento della dottrina Cristiana (BDAG, s.v. διδaκτικόϛ). Un’espressione simile, in Tito 1:9, ci permette di comprendere cosa implichi questo requisito sul piano pratico:[6] “essere in grado di esortare nella sana dottrina e di convincere quelli che contraddicono” (Tito 1:9). Il significato di questa espressione viene ulteriormente definito in 2 Timoteo 2:25, secondo cui l’abilità di insegnare comprende la capacità di “ammaestrare con mansuetudine gli oppositori”. È chiaro, pertanto, che l’attitudine ad insegnare non richieda soltanto una fedele aderenza alla dottrina apostolica, ma anche un’opposizione altrettanto fedele alla falsa dottrina.

 

 

Comportamenti richiesti

Un anziano non dev’essere “dedito al vino” (BDAG, s.v. πάρινος). Al versetto 2 troviamo la caratteristica richiesta (essere “sobrio”), mentre qui troviamo la caratteristica in negativo, ovvero quella da evitare (“non dedito al vino”). Un uomo non può essere controllato dallo Spirito Santo se la sua mente è in stato di ebbrezza.

Successivamente, Paolo afferma che un anziano non dev’essere “violento”, termine che si riferisce a coloro che sono soliti coinvolgersi in dispute e risse.[7] Nessun uomo il cui temperamento sia noto per prepotenza e abusi, pertanto, può essere ritenuto idoneo al ministero pastorale.

La casa è il terreno di prova delle potenzialità di un uomo nella leadership della chiesa.

Gli anziani devono essere “miti”, non devono insistere affinché venga presa alla lettera ogni regola o consuetudine; il loro atteggiamento dev’essere remissivo, delicato, gentile, educato, tollerante” (BDAG, s.v. έπιεικής, in corsivo l’originale): egli dev’essere, in sintesi, ‘magnanimo e paziente.’[8] Non si tratta del tipo di persona che ammicca al peccato o lo asseconda ma, piuttosto, di un uomo che è ha piena facoltà nel discernere tra peccato e rettitudine, e tuttavia non per questo assume un atteggiamento ‘farisaico’ di giudizio verso il prossimo.

L’espressione “non litigioso” significa letteralmente “senza conflitto”, e descrive una persona “pacifica, poco incline al combattimento, non polemica” (LSJ, s.v. άμαχος).

Un anziano dev’essere anche “non amante del denaro”, in contrapposizione a coloro che “negli ultimi giorni” si mostreranno “avidi di denaro” (2 Timoteo 3:1; cf Luca 16:4). In questo senso, coloro che amano il denaro sono sotto la condanna perché “l’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali e, per averlo grandemente desiderato, alcuni hanno deviato dalla fede” (1 Timoteo 6:10). Questo spiega come mai la passione per il denaro non possa regnare nel cuore di un pastore.

 

 

Governare bene la propria famiglia

“Uno che governi bene la propria famiglia” significa che l’anziano deve sorvegliare con cura l’andamento del proprio nucleo familiare. Un pastore deve avere una famiglia che sia di esempio. Questo ovviamente non vuol dire che tutto debba apparire ‘perfetto’ o che tutti i figli debbano essere credenti ma, piuttosto, che un pastore fedele debba saper condurre la propria famiglia e disciplinare diligentemente i propri figli. L’attenzione del capofamiglia nei confronti della disciplina dei figli si rifletterà in qualche misura sul loro comportamento, che rivelerà se egli “tenga i figli in sottomissione con ogni decoro.” Dei figli ribelli sono spesso indice di mancanza di disciplina amorevole o di lacune gestionali in famiglia. È il capofamiglia che ha l’incarico di assicurarsi che la rettitudine venga esercitata nella sua casa. In questo ambito, un anziano dev’essere esemplare.

La casa è il terreno di prova delle potenzialità di un uomo nella leadership della chiesa. Paolo fa una domanda retorica, “se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?” La risposta è ovvia: egli non potrà farlo. Se un uomo non è in grado di mantenere l’ordine e la disciplina in casa propria, non ci si potrà aspettare che egli operi meglio all’interno della chiesa.

 

 

Maturità necessaria

Un anziano non può essere un “neoconvertito.” Paolo non specifica entro quali limiti di tempo un uomo si possa considerare ‘convertito non troppo di recente’. Se egli avesse in mente un minimo di tempo, non lo ha reso noto. Ciò che ha reso noto è, tuttavia, che l’anziano debba avere un buon carattere. D’altronde il termine stesso ‘anziano’ (cf. 5:17), che come abbiamo visto è usato in modo intercambiabile con ‘pastore’ o ‘supervisore’, denota una certa maturità. Il pastore deve avere un carattere comprovato, il che implica che sia trascorso abbastanza tempo da confermare che egli sia davvero chi dice di essere. È il tempo che può dare evidenza della sua maturità. Se il tempo non fornisce questa evidenza, il requisito non è stato soddisfatto; se invece, con il passare del tempo, la sua fedeltà ed il suo buon carattere sono rimasti saldi, questi elementi costituiscono una prova. In mancanza di tale prova, si corre il rischio che un anziano diventi orgoglioso della propria posizione, mettendo in discussione perfino la sua stessa fede.

È altresì necessario che un pastore fedele “abbia una buona testimonianza da quelli di fuori”, ovvero una buona reputazione anche all’esterno della chiesa, perché il contrario danneggerebbe la testimonianza dell’intera comunità. Egli deve mostrare coerenza su tutti i fronti. ‘Quando il leader manca di uno o più requisiti, egli si espone al disonore… e non è escluso che questo lo conduca nel laccio del diavolo.”[9]

 

Note:

[1] Mounce, Pastoral Epistles, 306; Köstenberger, Commentary on 1-2 Timothy and Titus, 170.

[2] Craig S. Keener, And Marries Another: Divorce and Remarriage in the Teaching of the New Testament (Grand Rapids, MI: Baker Academic, 1991) 87-88

[3] Benjamin L. Merkle, 40 Questions about Elders and Deacons, 40 Questions Series (Grand Rapids, MI: Kregel, 2008), 128

[4] Mounce, Pastoral Epistles, 173

[5] Ibid

[6] George W. Knight III, The Pastoral Epistles: A Commentary on the Greek Text, NIGCT (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1992), 73, 159

[7] Mounce, Pastoral Epistles, 176

[8] J. P. Louw and Eugene Nida, Greek-English Lexicon of the New Testament: Based on Semantic Domains (New York: United Bible Societies, 1989), 88.63

[9] I. Howard Marshall, A Critical and Exegetical Commentary on the Pastoral Epistles, ICC (London/New York: t&T Clark, 1999), 484

 

Questo articolo è stato adattato a partire da ESV Expository Commentary: Ephesians-Philemon (Volume 11), edito da Iain M. Duguid, James M. Hamilton Jr., Jay Sklar.

 

 

Traduzione a cura di Eugenia Andrighetti

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Tematiche: Anzianato, Chiesa, Leadership, Pastorato

Denny Burk

Denny Burk
(PhD, The Southern Baptist Theological Seminary)

 

E’ professore di studi biblici al Boyce College, direttore universitario del Southern Baptist Theological Seminary. È anche pastore associato della Kenwood Baptist Church a Louisville, nel Kentucky. Burk pubblica The Journal for Biblical Manhood & Womanhood e parla e scrive ampiamente sul gender e sulla sessualità. Ha un blog popolare su DennyBurk.com.

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