Ero esausto e ho fatto un passo indietro
Questa non sarebbe stata una tipica assemblea di chiesa. Lo sapevo.
Anche Brian e Frank, i pastori con cui avevo lavorato da quando la chiesa era stata fondata due anni prima, lo sapevano. Ma solo poche persone della nostra giovane congregazione erano a conoscenza dell’annuncio che stavo per fare. Questo è stato il giorno in cui mi sono dimesso da anziano della chiesa che ho contribuito a fondare. Sebbene mi sentissi perfettamente in pace riguardo alla decisione che avevo preso mesi prima, sapevo che sarebbe stato uno shock per alcune persone della chiesa.
Come di consueto, prima di cominciare la riunione, abbiamo pregato, abbiamo recitato il nostro equivalente di un patto di chiesa all’unisono, abbiamo votato con gioia per introdurre nuovi membri e accettato le dimissioni di coloro che sarebbero partiti per servire Dio altrove e abbiamo seguito l’ordine del giorno.
Poi arrivò il momento: “E ora, Shai vorrebbe fare un annuncio”.
Mi avvicinai al microfono, i miei pensieri erano confusi ma avevo preparato un discorso che tenevo stretto nelle mie mani tremanti. Non sapevo cosa aspettarmi. Invece di iniziare con introduzioni superflue, ho semplicemente guardato il foglio e ho iniziato a leggere:
Ai membri della chiesa “Risen Christ Fellowship” (RCF),
In 1 Pietro 5: 1-4, si legge:
“Esorto dunque gli anziani che sono tra di voi, io che sono anziano con loro e testimone delle sofferenze di Cristo e che sarò pure partecipe della gloria che deve essere manifestata: pascete il gregge di Dio che è tra di voi, sorvegliandolo, non per obbligo, ma volenterosamente secondo Dio; non per vile guadagno, ma di buon animo; non come dominatori di quelli che vi sono affidati, ma come esempi del gregge. E quando apparirà il supremo pastore, riceverete la corona della gloria che non appassisce.”
Desidero focalizzare la vostra attenzione su una frase del versetto 2: “non per obbligo, ma volenterosamente secondo Dio”.
Parte di ciò che questo versetto significa è che essere un anziano è qualcosa che un uomo dovrebbe fare con gioia e libertà e non per obbligo. L’autore puritano Matthew Henry commenta questo, dicendo:
“Questi doveri devono essere eseguiti, non per costrizione, non perché tu debba farli, non per legge e nemmeno per paura o vergogna, ma perché lo desideri e ti compiaci del lavoro”
È da un po’ di tempo che il versetto citato risuona nella mia mente. Infatti, mentre non ho dubbi sul mio amore per la chiesa e provo gioia nel servire insieme agli altri anziani, gli ultimi due anni e mezzo sono stati particolarmente pesanti sia per me che per la mia famiglia. In questo periodo, mi sono trovato a lottare con il mio poco amore per il Signore e una crescente mancanza di gioia in gran parte del lavoro pastorale. In altre parole, “perché lo desideri e ti compiaci del lavoro” non è stata la mia recente esperienza.
Quindi, come sono arrivato a questo punto? Ci sono una serie di fattori che hanno contribuito a portarmi dove mi trovo ora. Per gli scopi di questo articolo (e come ogni bravo predicatore battista dovrebbe fare) ne identificherò tre.
Squilibrio lavoro/casa
Nel suo modo tipicamente umoristico di mettere in evidenza le sfide del rinnovamento della chiesa, Mike McKinley ha scritto un libro con un grande titolo: Church Planting is For Wimps (Fondare chiese è un lavoro per smidollati). Sebbene la fondazione di chiese ti dia molte gioie, chiunque lo abbia fatto sa che è un compito estremamente difficile. Non è per i deboli di cuore.
Oltre alle solite sfide che si presentano durante la fondazione di chiese, come la ricerca di sovvenzioni o degli edifici, ecc., la mia famiglia ha dovuto affrontare una prova dopo l’altra praticamente senza sosta. Per dare un’idea, eccone una breve cronologia a partire dall’anno in cui abbiamo fondato RCF.
- Maggio 2015. Nascita del nostro figlio più piccolo, Ezra, portando così a tre bambini dai tre anni in giù, il numero dei nostri figli.
- Giugno 2015. Trasferito dalla Virginia del nord a Filadelfia per la preparazione dell’inaugurazione a settembre.
- Luglio 2015. Il nostro soggiorno è diventato un parco acquatico quando ho acceso la doccia al piano di sopra e l’acqua ha iniziato a piovere attraverso le lampade dal soffitto.
- Settembre 2015. RCF tiene il suo primo culto.
- Ottobre 2015. Questa volta, è il seminterrato ad inondarsi.
- Ottobre 2015. Durante una gita in macchina con tutta la famiglia, abbiamo colpito un cervo sfasciando la nostra auto. Grazie al Signore che ha salvaguardato le nostre vite.
- Novembre 2015. Mia moglie Blair ha il suo primo attacco di panico legato all’incidente: siamo dovuti correre al pronto soccorso. Dopo questa prima volta, ne sono succedute altre per vari problemi di salute di Blair che continuano ancora oggi, quasi tre anni dopo.
Questi sono solo i primi sei mesi! Quando le condizioni di mia moglie sono peggiorate, ho lottato contro la mia incapacità di portarmi il lavoro a casa in modo da essere pienamente presente quando tornavo dalla mia famiglia. Le richieste di una nuova chiesa sono molte, ma mia moglie aveva bisogno che io mi prendessi cura di lei. Aveva bisogno che mi assumessi maggiori responsabilità con i nostri tre bambini piccoli, perché diventava sempre più difficile per lei prendersene cura. Mi sentivo come se la mia vita fosse legata a un tapis roulant regolato alla massima velocità possibile e sulla pendenza più ripida possibile. Il ministero pastorale cominciava a diventare più un peso che una gioia, cosa che porta al passo successivo.
La sfida inaspettata del ministero vocazionale
Ho sempre pensato che lo scenario ideale sarebbe stato far parte dello staff come pastore. Voglio dire, essere pagato per studiare la Parola di Dio e pascere il suo popolo? Chi non vorrebbe firmare per un lavoro simile?
Sfortunatamente, quando ho assunto l’incarico, il mio cuore peccaminoso mi ha accompagnato nel viaggio. Non mi sarei mai aspettato i dilemmi che provavo quando preparavo un sermone in ufficio il sabato sera; o quando dovevo insegnare a un gruppo di membri di chiesa; o condurre un incontro di anziani – in realtà avrei voluto soltanto essere a casa con la mia famiglia.
Troppo spesso, mi sentivo in colpa, provavo vergogna e mi sentivo poco spirituale quando il pensiero che mi faceva andare avanti non era: “Io sto servendo per dare gloria a Dio”, ma piuttosto: “Questo è il mio lavoro. Devo fare questo per provvedere alla mia famiglia “. Il fatto che il mio sostentamento dipendesse dal mio ministero ha cominciato a cambiare il mio cuore e le sue motivazioni. Ero arrivato al punto di temere le stesse cose per cui avevo gioiosamente firmato anni prima. E lo odiavo. Odiavo quando mi sentivo in quel modo. Era diventato un circolo vizioso, che si ripeteva costantemente nella mia mente.
Era avvilente.
Un pastore infelice
In pratica ero un pastore infelice. Non fraintendetemi, avevo sicuramente molte gioie e molte cose di cui sono grato. Prima di tutto, c’era la nostra meravigliosa congregazione, composta da cari fratelli e sorelle di diverse etnie e generazioni, uniti da un comune amore per il Salvatore e la sua gloria. Per me è stato un onore poter aiutare a guidare i santi della RCF, anche per una stagione.
Mentre parlavo delle mie difficoltà con gli altri anziani, erano molto disponibili, pronti a pregare per me e premurosi. Quando i problemi di mia moglie si protrassero per il secondo anno, divenne sempre più chiaro che forse questa poteva essere una cosa a lungo termine che richiedeva la mia presenza e disponibilità in un modo che non potevo mettere in atto mentre ero a pieno tempo nel ministero pastorale. Oltre a questo, non volevo continuare a servire come pastore se ciò significava che sarei stato regolarmente “afflitto”, altro che “sempre allegri” (ndt.: 2 Corinzi 6:10). Infine, divenne chiaro che non volevo più essere un pastore, desiderio che invece la Bibbia indica come prerequisito per chi volesse servire la Chiesa (1 Timoteo 3: 1).
A quel punto, sapevo che dovevo dimettermi. Tutti gli argomenti contro le dimissioni (“che cosa penserà la gente?” “E coloro che ci sostengono finanziariamente?” “Sarà imbarazzante”) mi provavano che avevo più paura degli uomini e del mio orgoglio che di glorificare Dio. Sapevo che poteva essere una transizione imbarazzante; i miei ex anziani sarebbero diventati i miei pastori e io sarei diventato semplicemente un membro della chiesa che avevo aiutato a fondare. Ma ho pensato che fosse meglio essere un membro della chiesa felice che un pastore senza gioia.
Un nuovo inizio
Per grazia di Dio, abbiamo risolto tutto durante l’assemblea di chiesa. Sebbene ci fossero molte lacrime, la congregazione è stata di grande aiuto e molto incoraggiante nei mesi successivi. In retrospettiva, ora, un anno dopo, posso dire senza dubbio di aver preso la decisione giusta. È stato utile per me essere più presente per la mia famiglia. Ho provato molta gioia nel tornare alla mia precedente vocazione di artista e scrittore.
Ho ancora occasioni di predicare di tanto in tanto e di servire in altri modi in chiesa. Non escludo di tornare un giorno a farne parte come anziano laico, se è ciò che il Signore e i santi di RCF desiderano per me. Ma qualunque cosa accada, ho provato una grande pace sapendo che la mia identità non consiste nell’essere un pastore, ma nell’essere un peccatore salvato dalla grazia attraverso l’opera espiatoria di Gesù Cristo. E questo è più che sufficiente.
(traduzione a cura di Aida Gonzalez)
Tematiche: Ministero, Pastorato, Sofferenza, Vita Cristiana
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