Discipline spirituali per i giorni bui
Eravamo appena tornati a casa dopo un meraviglioso e felice giorno di Natale con alcuni membri della nostra famiglia (il nostro governo ci ha permesso di incontraci in quel giorno, ma quella sera abbiamo dovuto guidare fino a casa pronti per il prossimo periodo di restrizioni COVID).
Mentre stavo sistemando le cose a casa, mi sono venute le lacrime agli occhi. Perché? Dopo tutto, era stata una bella giornata, piena di armonia e di gioia familiare.
Ebbene, ai giorni naturalmente bui (per noi dell’emisfero nord) e al tempo grigio e umido (di cui ne abbiamo avuto in abbondanza) si sono aggiunte le tristezze delle restrizioni COVID, la miseria del distanziamento sociale, lo sconvolgimento della chiesa e le incertezze su quando potremo vedere la prossima volta la famiglia o gli amici preziosi.
Non c’è niente di particolarmente speciale nella mia tristezza. Ma mi ha spinto a riflettere su quali discipline spirituali sarebbero benefiche per me e per gli altri che vivono l’oscurità.
Le espongo in cinque parole.
1. Lamentarsi
Il lamento si concentra su tre verità: il carattere di Dio, la verità su di me e la tristezza che sta alla radice di tutti i nostri dolori.
C’è differenza tra versare lacrime versate e versare “lacrime a Dio” (Giobbe 16:20). Perché quando piango alla presenza di Dio, lo faccio davanti al volto dell’amore infinito, della saggezza infallibile, della fedeltà immutabile, della bontà incessante, davanti al Padre che ha mandato il suo Figlio a salvarmi, davanti al Figlio che mi ha amato e ha dato se stesso per me e nella potenza dello Spirito che riversa l’amore nel mio cuore.
Il pianto può essere solitario, ma il pianto verso Dio non lo è mai.
Tuttavia anche il lamento biblico (per esempio nei salmi o nei canti dei lamenti) mi spinge a ricordare chi sono. Per natura sono un ribelle in un mondo sottoposto al peccato. Eppure in Cristo non sono semplicemente caduto, ma sono giustificato, un peccatore per il quale non c’è condanna, un peccatore i cui peccati sono supportati dalla morte del Signore Gesù.
Quando piango alla presenza di Dio, lo faccio davanti al volto dell’amore infinito, della saggezza infallibile, della fedeltà immutabile, della bontà incessante.
Allora perché, in Cristo, devo piangere? Forse Romani 8:17 lo dice in modo molto chiaro: “Se pure soffriamo con lui per essere anche con lui glorificati”. In questo mondo ci aspettiamo di soffrire. Sia nella malattia, nella frustrazione, nel lutto, nella debolezza o, per così dire, nella persecuzione di un tipo o di un altro, la sofferenza non deve sorprenderci. Tuttavia è meraviglioso ricordare che non soffriamo da soli. I nostri dolori ci guidano verso la comunione con Cristo.
2. Ringraziare
Una volta, quando mi sentivo abbastanza giù e piuttosto pieno di autocommiserazione, un amico mi scrisse una lettera dicendomi quanto avesse trovato utile la disciplina del ringraziamento quotidiano. Piuttosto che rimproverare il mio cattivo atteggiamento, elencò alcune benedizioni per le quali ringraziò e mi raccomandò implicitamente di praticare quell’esercizio. Non ho mai dimenticato la sua gentilezza e i suoi consigli.
Il ringraziamento convive nella vita di fede con il lamento come spesso vediamo anche nei salmi. Esso pervade le preghiere dell’apostolo Paolo. Non rendere grazie è uno dei segni fondamentali dell’idolatria che troviamo in Romani 1:21 (“Poiché, pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno però glorificato né l’hanno ringraziato come Dio, anzi sono divenuti insensati nei loro ragionamenti e il loro cuore senza intendimento si è ottenebrato”). Così sembra chiaro dalle Scritture che il ringraziamento non è una disciplina solo per quando mi sento grato, ma una disciplina anche per i giorni bui.
Quindi incito la mia anima a rendere grazie a Dio. Da Cristo sgorga ogni benedizione spirituale (Ef. 1:3), tutto ciò che possediamo in Gesù, così che, con le parole di un canto meraviglioso, “Non c’è più nulla che il cielo possa ora dare”. Avendo dato Gesù, il Padre mi ha dato tutto ciò di cui ho bisogno per la vita e la compassione.
Questo mi stimola poi a rendere più particolare il mio ringraziamento mentre esploro l’ordine provvidenziale di Dio nella mia vita, operando per l’onore di Gesù e per il mio bene.
3. Rallegrarsi
Dopo il ringraziamento viene la disciplina della gioia. Ancora una volta, questo spesso coesiste con le lacrime nel paradosso della vita di fede (“doloroso, ma sempre gioioso”, 2 Cor. 6:10). Ho bisogno che mi sia ricordato di essere stimolato, di essere riscaldato di nuovo dalle verità che conosco su Dio, il mio Salvatore, le verità annunciate e proclamate nel vangelo del Signore Gesù, e non voglio aver paura di essere rinnovato. Ho riflettuto su questa strana esortazione nella lettera di Giuda: “Conservatevi nell’amore di Dio” (Giuda 21). O, per parafrasare: Continuate a essere amati da Dio! Lasciatevi amare. Non allontanatevi dall’essere amati.
Sì, è una strana esortazione, ma è necessaria perché la mia tendenza naturale è proprio e follemente quella di allontanarmi, sia che si tratti di una miseria legalistica di disperato attivismo, o di una vana ricerca della felicità lontana da Dio, o della convinzione che la Sua legge sia repressiva e schiacciante.
4. Intercedere
Recentemente ho predicato 2 Corinzi 8:9 e sono stato colpito dal flusso della grazia divina: Gesù si è fatto povero per darci ricchezza, che poi ci spinge a donare tutto noi stessi per gli altri affinché anche loro diventino ricchi. Quando Paolo descrive il suo ministero come “povero, ma che rende ricchi molti” (2 Cor 6:10), suona straordinariamente simile al modello del suo Maestro. La nostra innata oscurità può trasformarci in noi stessi (almeno, per me lo fa), ma il vangelo di Gesù ci arricchisce e ci fa uscire da quello stato.
Per me questo si trasforma in una rinnovata disciplina di intercessione per gli altri. Sospetto che il servizio più autentico verso gli altri affondi le sue radici nella preghiera di intercessione per gli altri.
Pregare per gli altri impedisce l’introspezione distruttiva e l’autocommiserazione.
5. Obbedire
Infine, avendo faticato in alcuni giorni bui ad alzarmi dal letto e ad andare avanti con gli impegni della giornata, è stato utile ricordare a me stesso che, finché c’è vita, ci sono buone opere preparate per noi nel nostro cammino (Ef. 2:10). Così spesso penso che questa sia “l’obbedienza della fede” (Rom 1:5) semplice obbedienza che crede che Dio ci abbia messo davanti le buone opere e che si fida di Lui per dare forza a ciò a cui mi chiama oggi.
E molto spesso è l’inizio che è la chiave. Perché dove c’è un inizio, ci può essere un proseguimento fino a quando alla fine posso guardare indietro a una giornata ben spesa, per quanto poco credo comunque di aver realizzato.
Traduzione a cura di Ella Sava
Christopher Ash è l’autore di questa opera pubblicata da Coram Deo:
Tematiche: Ansietà, Battaglia spirituale, Crescita spirituale, Preghiera, Sofferenza
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