Cosa significa che le donne devono sottomettersi ai propri mariti?

 

Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore, poiché il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, ed egli stesso è Salvatore del corpo. Parimenti come la chiesa è sottomessa a Cristo, così le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa. Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla, avendola purificata col lavacro dell’acqua per mezzo della parola, per far comparire la chiesa davanti a sé gloriosa, senza macchia o ruga o alcunché di simile, ma perché sia santa ed irreprensibile. Così i mariti devono amare le loro mogli, come i loro propri corpi; chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno infatti ebbe mai in odio la sua carne, ma la nutre e la cura teneramente, come anche il Signore fa con la chiesa, poiché noi siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa. «Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due diverranno una sola carne». Questo mistero è grande; or lo dico in riferimento a Cristo e alla chiesa. Ma ciascuno di voi così ami la propria moglie come ama se stesso; e similmente la moglie rispetti il marito”.

Efesini 5:22-33

 

 

L’autorità e il Progetto di Dio

In ciascuna delle tre sezioni in cui si articola il codice familiare di Paolo (Ef. 5:22-33; 6:1-4; 6:5-9), egli si rivolge prima a coloro che si trovano sotto l’autorità (le mogli, i figli e i servi) e solo successivamente a coloro che ricoprono ruoli di autorità (i mariti, i genitori ed i padroni). Alle mogli viene ordinato di sottomettersi ai propri mariti. L’espressione “vostri” (idios) indica che Paolo si sta rivolgendo alle “mogli”, non alle “donne” in generale.

Significa inoltre che ad una moglie non viene chiesto di sottomettersi al marito di chiunque, ma esclusivamente al proprio marito. L’utilizzo della forma riflessiva del verbo (riportata dal versetto 21, “sottomettetevi”) enfatizza la natura volontaria della sottomissione[1]. In altre parole, Paolo afferma che una moglie deve sottomettersi volontariamente a suo marito, ma non dice da nessuna parte che i mariti debbano richiedere sottomissione alle proprie mogli, dal momento che non dovrebbero mai avere la necessità di farlo. Successivamente, Paolo presenta un paragone (“come al Signore”), che fornisce alle donne una motivazione per la propria sottomissione. Quando una donna si sottomette volontariamente a suo marito, si sta allo stesso tempo sottomettendo al Signore.

Paolo prosegue fornendo una ragione per cui le mogli dovrebbero sottomettersi ai propri mariti. Egli dice, “poiché il marito è capo della moglie” (Ef. 5:23). Una moglie dovrebbe sottomettersi al proprio marito perché Dio gli ha conferito un ruolo di autorità. “Capo” in questo contesto significa chiaramente che egli ha “autorità su di lei”, e non ha l’accezione di supremazia che troviamo in altri passi (Ef. 1:22; 4:15). È bene notare che Paolo non basa la sua argomentazione sulla cultura del tempo o su delle norme sociali. Egli, piuttosto, si basa sul piano di Dio riguardo alla leadership e al ruolo del marito (1 Co 11:3-12; 1 Tm 2:11-13). La sottomissione non implica un’intrinseca inferiorità. Lo status di Cristo è pari al Padre ma Egli si sottomette volontariamente alla volontà del Padre (1 Co 15:28). Allo stesso modo, le donne hanno pari valore e dignità rispetto agli uomini, essendo stati creati entrambi a immagine di Dio. Tuttavia, secondo il disegno divino, uomini e donne assumono ruoli differenti all’interno della relazione matrimoniale. Paolo propone ancora una similitudine: “come anche Cristo è capo della chiesa.” Cristo è il capo della chiesa, analogamente l’uomo è il capo della moglie. Più avanti, Paolo specifica che la chiesa è il “corpo” di Cristo: un’immagine che ha precedentemente usato nella lettera agli Efesini (Ef 1:23; 2:16; 4:4; 12, 16). Cristo è collegato alla chiesa come “il Salvatore,” avendola redenta.

Efesini 5:24 ribadisce la precedente esortazione invertendone l’ordine: “Parimenti come la chiesa è sottomessa a Cristo, così le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa.” Proprio come la chiesa si sottomette volontariamente a Cristo, così le mogli dovrebbero liberamente e volontariamente sottomettersi ai propri mariti. Il sintagma preposizionale “in ogni cosa” non dovrebbe essere interpretato in senso assoluto, poiché una moglie non dovrebbe sottomettersi a suo marito in azioni dannose, peccaminose o chiaramente contrarie ai comandamenti di Dio (Atti 5:29). Ciononostante, queste parole non sono subordinate all’amore del marito nei confronti della moglie. Sebbene ci possano essere delle eccezioni, il baricentro è fissato sulla crucialità della volontaria sottomissione della moglie alla leadership del proprio marito (quand’anche egli fosse un non credente).

 

Amore Sacrificale

Dopo aver ordinato alle mogli di sottomettersi ai propri mariti, Paolo si rivolge ai mariti, ordinando loro di amare le proprie mogli. Sulla base degli altri testi antichi, c’è qualcosa di inaspettato nel fatto che Paolo esorti i mariti ad amare le mogli anziché incoraggiarli ad avere controllo e potere su di loro. Nella letteratura extra-biblica della cultura ebraica, i mariti vengono raramente esortati ad amare le proprie mogli, ed all’interno del codice familiare Greco-Romano il verbo “amare” (agapao) non è mai messo in relazione con i doveri dei mariti. Nel brano in esame, invece, il comandamento è di seguire Cristo nel suo modo di amare. Il fatto che questa esortazione venga ripetuta ne sottolinea l’importanza (Ef 5:28,33; Col 3:19).

Il modo in cui i mariti dovrebbero amare le proprie mogli viene paragonato al modo in cui “Cristo ha amato la chiesa” (Ef 5:25). L’amore di Cristo per la sua sposa (la chiesa) diventa lo standard secondo cui un marito dovrebbe amare la sua sposa. Nello specifico, l’amore di Cristo è manifesto nel modo in cui Egli “ha dato sé stesso per lei”. Il suo amore ha agito sulla base di un’iniziativa personale e sacrificale. Il parallelo, comunque, non andrebbe forzato. Un marito dovrebbe assomigliare a Cristo dimostrando un amore che non teme i sacrifici, ma non per questo egli dovrebbe morire al posto della moglie, santificarla o purificarla. Egli dovrebbe, tuttavia, essere disposto a sacrificare ogni cosa per proteggere sua moglie e avere cura di lei.

Proprio come Cristo nutre la chiesa e se ne prende cura, così un marito dovrebbe spontaneamente nutrire sua moglie e averne cura.

Efesini 5:26,27 introduce tre proposizioni finali che identificano l’obiettivo dell’amore sacrificale di Cristo per la chiesa. La prima è che Cristo ha donato sé stesso per lei “per santificarla” (Ef. 5:26). “Santificare” (hagiazo) significa “rendere santo” o “mettere da parte”, e tale concetto deriva da quella pratica del Vecchio Testamento di mettere da parte qualcosa o qualcuno per Dio (Le 8:11-12; 11:44; 16:16-19). Come fa Cristo a santificare la sua sposa? Egli la purifica “col lavacro dell’acqua della parola.” In pratica, la chiesa viene santificata dalla potenza purificatrice del Vangelo. La maggior parte dei commentatori hanno collegato il riferimento al “lavare col lavacro dell’acqua” con il battesimo, la più intensa forma di purificazione attraverso cui Cristo purifica per se stesso un popolo (1 Co 6:11; Tt 3:5). Questo tipo di linguaggio potrebbe inoltre essere ricondotto all’immagine del bagno nuziale che troviamo in Ezechiele 16: 8-14. Nello specifico, Paolo scrive che la chiesa viene purificata dalla “parola” (rhema), che verosimilmente si riferisce al Vangelo (Ef 6:17: Ro 10:8,17; Eb 6:5; 1 P 1:25).

La seconda è che Cristo santifica la chiesa per farla comparire “davanti a sé, gloriosa” (Ef 5:27). Il concetto di presentazione allude probabilmente all’usanza giudaica di presentare la sposa, concetto che qui viene applicato alla presentazione della chiesa per la seconda venuta del Signore (cf. 2 Co 11:2, in cui Paolo si riferisce alla chiesa come alla “casta vergine” di Cristo). Alla fine dei tempi, quando Cristo presenterà la chiesa nella sua gloria, essa sarà “senza macchia o ruga o alcunché di simile” (Ef 5:27). L’assenza di “macchia” o “ruga” allude alla perfezione e alla bellezza esteriore di una giovane sposa priva di difetti fisici. Questi termini, nel contesto del passo in esame, vengono utilizzati come metafore spirituali della purezza ed eccellenza morale della chiesa. L’ultima proposizione finale amplifica la precedente affermazione negativa e attesta che Cristo presenterà la chiesa senza alcun difetto così che essa sia trovata “santa e irreprensibile.” Precedentemente, Paolo aveva ricordato ai suoi lettori che Dio li ha scelti prima della fondazione del mondo perché essi fossero “santi e irreprensibili davanti a Lui” (Ef 1:4).

 

L’amore secondo Dio

Paolo esorta una seconda volta i mariti ad amare le proprie mogli. La frase introduttiva “così” (ovvero “allo stesso modo”, Ef 5:28) si collega all’affermazione dei versetti che la antecedono (Ef 5:25-27): proprio “come anche Cristo ha amato… così i mariti devono amare…” La ripetizione del verbo “amare” sottolinea l’importanza di questo passo (Ef 5:25, 28, 33)

Paolo aggiunge un secondo paragone, affermando che i mariti devono amare le proprie mogli “come i loro propri corpi”. Alcuni definiscono questa espressione ‘inaspettata’ (a causa dello slittamento dall’amore di Cristo all’amore verso se stessi) o addirittura ‘svilente’ (a causa del paragone tra l’amore verso la propria moglie e l’amore egoistico dell’uomo verso se stesso). Paolo, in ogni caso, sta fornendo un esempio concreto e pratico per la relazione matrimoniale: proprio come risulta naturale, per l’uomo, nutrire e proteggere se stesso, allo stesso modo egli dovrebbe amare sua moglie, avere cura di lei e proteggerla. Peraltro, l’esempio per eccellenza di questo tipo di amore ‘verso il proprio corpo’ è dato proprio da Cristo, il quale ha amato la chiesa (il proprio corpo) fino al punto da morire per essa (Ef. 5:25).

La frase conclusiva di questo concetto, in Efesini 5:28 (“Chi ama la propria moglie ama se stesso”) introduce un’illustrazione parentetica della clausola precedente (“come i propri corpi”). Essa dimostra che l’obiettivo di Paolo non è rimarcare l’amore di un uomo verso se stesso, bensì sottolineare quanto naturale dovrebbe essere, per un uomo, amare sua moglie. Non è da escludere che Paolo stia applicando il secondo grande comandamento, “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Le 19:18), dal momento che la moglie può essere considerata come il “prossimo” più vicino al marito. Questo testo troverebbe dunque un’applicazione perfetta nella relazione matrimoniale. In più, poiché marito e moglie diventano “una sola carne” (Ef 5:31), ne consegue che un marito, amando sua moglie, ami allo stesso tempo se stesso.

Al fine di evitare malintesi, Paolo chiarisce ulteriormente i suoi commenti precedenti riguardo all’amore di un uomo verso se stesso. Egli scrive, “Nessuno infatti ebbe mai in odio la sua carne, ma la nutre e la cura teneramente” (Ef 5:29). Sebbene Paolo sia solito usare il termine “carne” (sarꭓ) con un’accezione negativa, qui si sta semplicemente riferendo al proprio corpo fisico. Inoltre, le parole “carne” e “corpo” (soma) sono usati in modo intercambiabile in questo contesto (cf. 1 Co 6:16), e l’uso del termine “carne” anticipa qui il riferimento a Genesi 2:24 che troviamo in Efesini 5:31.

Sebbene possano esserci delle eccezioni, è generalmente vero che le persone non odiano la propria persona. Piuttosto, la persona media si prende naturalmente cura di sé, il che è evidenziato dal fatto che egli si alimenta (“nutre”) e ha a cuore la propria salute (“cura”). Dunque, un marito dovrebbe essere premuroso e attento verso i bisogni della moglie. Paolo utilizza nuovamente la relazione Cristo-chiesa per fare un paragone (“come anche il Signore fa con la chiesa”). Così come Cristo nutre e cura teneramente la chiesa, allo stesso modo un marito dovrebbe fare naturalmente per la sua sposa. Successivamente, Paolo fornisce una motivazione per cui Cristo ama e nutre teneramente il suo popolo: “poiché noi siamo membra del suo corpo” (Ef. 5:30). Similmente, i mariti dovrebbero prendersi cura delle loro mogli come fanno per se stessi. Ne consegue il parallelo tra l’unione dei credenti con Cristo e quella in una sola carne tra marito e moglie.

In Efesini 5:31 Paolo cita Genesi 2:24, che rappresenta “la dichiarazione più importante dell’Antico Testamento riguardo al piano di Dio per il matrimonio”[2]. Di difficile interpretazione non è tanto il contenuto di questa citazione, quanto piuttosto il suo collegamento a quanto dichiarato da Paolo: se essa si riferisce alla relazione tra marito e moglie, Paolo sta dicendo, in sostanza: ‘un marito dovrebbe amare sua moglie perché essi sono una sola carne, così come Dio ha previsto in origine.’ Ciononostante, il contesto più immediato (Ef 5:30, “poiché noi siamo membra del suo corpo”) si riferisce a Cristo e alla chiesa, non alla relazione tra marito e moglie. Lo scopo della citazione si basa sull’ultima frase della citazione (“i due diverranno una carne sola”). Sebbene la citazione sia applicabile a entrambi i tipi di relazione (Cristo/chiesa, marito/moglie) la prima è il punto principale su cui si focalizza Paolo; in Efesini 5:32 egli afferma esplicitamente di aver utilizzato la citazione per riferirsi al binomio Cristo/chiesa.

Il fatto che Paolo non stia meramente parlando della relazione marito/moglie diventa evidente in Efesini 5:32: “Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa.” Paolo definisce la relazione Cristo/chiesa un “mistero”, il che indica, secondo l’impiego che solitamente Paolo fa di questa espressione, il piano di Dio prima nascosto ma successivamente rivelato in Gesù (Ef 1:9; 3:3-4, 9; 6:19; Ro 16:25). In seconda battuta, Paolo definisce questo mistero “grande” (megas) o profondo, sottolineando l’entità e la crucialità del mistero stesso. In terzo luogo, Paolo identifica esplicitamente il mistero come quello che si riferisce “a Cristo e alla chiesa.” Così come il primo Adamo si unì a sua moglie per diventare una sola carne con lei, così l’ultimo Adamo si unirà alla Sua sposa perché diventino una cosa sola. È bene notare che l’argomentazione di Paolo cita la relazione fra Cristo e la chiesa come modello di riferimento per le relazioni coniugali umane, e non il contrario. Il mistero non è semplicemente la relazione Cristo/chiesa bensì, più specificatamente, l’interazione del matrimonio umano e del matrimonio divino fra Cristo ed il suo popolo. Un matrimonio Cristiano riproduce, sebbene in miniatura, la bellezza condivisa fra lo Sposo e la Sposa.”[3]Dio ha creato il matrimonio umano in modo che il suo popolo disponesse di una categoria attraverso cui comprendere la relazione fra Cristo e la Sua chiesa.

 

Amore senza Eccezioni

Paolo adesso ritorna al filo conduttore della relazione marito/moglie (segnalando questo spostamento con il “ma”) e propone una sintesi conclusiva. Stavolta, comunque, egli si rivolge in prima battuta ai mariti (ciascuno di voi così ami la propria moglie come ama se stesso”), rendendo il suo appello decisamente personale (“ciascuno di voi”). Una tale enfasi sulla sfera individuale sottolinea che Paolo si aspetta che ogni marito (ed ogni moglie) afferri questi standard divini in modo personale. Sostanzialmente, Paolo sta dichiarando che nessuno è esonerato dal dovere di adempiere con ubbidienza questi comandamenti (Ef 5:25, 28). L’esortazione rivolta alle mogli, qui, è leggermente diversa. Mentre prima è stato chiesto alle mogli di sottomettersi ai loro mariti, ora esse vengono esortate a rispettarli (e similmente la moglie rispetti il marito”). Il verbo che viene reso con “rispettare” (phobeomai) viene spesso tradotto con il termine “temere” nel nuovo Testamento. L’idea suggerita in questo contesto non è certamente quella di “paura” bensì di rispetto reverenziale basato sulla posizione autorevole conferita da Dio al marito. Occorre notare che tali ordini non sono subordinati a nessuna condizione particolare. Il marito deve amare la moglie, che ella si sottometta volontariamente alla sua leadership o che non lo faccia. Analogamente, la moglie deve sottomettersi a suo marito, indipendentemente che egli riesca o meno ad amarla come Cristo ha amato la chiesa.

 

Questo articolo è stato adattato da ESV Expository Commentary: Ephesians – Philemon (Volume 11), edito da Iain M. Duguid, James M. Hamilton Jr, e Jay Sklar

 

 

Traduzione a cura di Eugenia Andrighetti

 

[1] Nella forma riflessiva, il soggetto coincide con l’oggetto stesso dell’azione (es. sottomettetevi): in pratica, è il soggetto stesso a scegliere di compiere questa azione, e non qualcun altro a compierla su di lui.

[2] Peter T. O’Brien, The Letter to the Ephesians, PNTC (Grand Rapids, MI; Leicester: Apollos, 1999), 429

[3] Ibid, 433-434

Tematiche: Disciplina, Marito, Moglie, Sottomissione

Benjamin Merkle

Benjamin Merkle

 

E’ professore di Nuovo Testamento e Greco presso il Southeastern Seminary a Wake Forest, North Carolina.

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