Cosa mi dici in merito alla profezia e alle lingue oggi?

 

La Confessione di fede di Westminster, insistendo sul fatto che la Scrittura è sufficiente ai nostri giorni, sostiene che “essendo ora cessate quelle forme in cui Dio rivelava in precedenza la Sua volontà al Suo popolo” (1.1), noi che aderiamo a questo insegnamento siamo spesso chiamati “cessazionisti”. Questa etichetta porta tuttavia con sè un bagaglio molto grande e di per sé, può essere negativo.

Nei dibattiti attuali sui doni dello Spirito Santo però, questa etichetta suggerisce ciò contro cui si è contrari. Per iniziare, quindi, dobbiamo correggere alcuni fraintendimenti sul “cessazionismo”. Non affermiamo infatti che lo Spirito di Dio non sta più operando attivamente in modi dinamici e straordinari. Anzi, crediamo sinceramente che lo faccia. Che cosa, ad esempio, può essere più potente e impressionante – persino miracoloso! — di un’inversione di 180 gradi che si verifica quando lo Spirito trasforma uomini morti nei loro peccati in viventi spirituali in vista delle buone opere? Ciò implica niente di meno che un’opera di risurrezione, di (ri-) creazione (Efesini 2:1-10). Questo è davvero fantastico! Né crediamo che tutti i doni spirituali siano cessati e non siano più presenti nella chiesa. In questo caso si intende la cessazione di un numero limitato di doni. La continuazione del resto dei doni spirituali non è in discussione.

Le persone a volte mi dicono: “Stai mettendo lo Spirito Santo in una scatola”, e allora vengono in mente almeno due risposte. Innanzitutto, prendo a cuore questa accusa. Non è affatto un pericolo illusorio limitare ingiustamente con le nostre aspettative l’opera dello Spirito con la nostra teologia. Dobbiamo sempre ricordare il fattore dell’imprevedibilità che Gesù fa notare in Giovanni 3:8 (lo Spirito è come un vento imprevedibile). Perciò qualsiasi sana dottrina sull’opera dello Spirito Santo prenderà in considerazione il Suo aspetto misterioso.

In secondo luogo, tuttavia, come cercherò di mostrare, lo stesso Spirito Santo, “che parla nella Scrittura” (Confessione di Fede di Westminster 1.10), mette la propria opera “in una scatola”, cioè la scatola della Sua opera sovrana. La Bibbia non dice nulla in merito a un presunto capriccio dello Spirito. Lo Spirito è davvero lo Spirito fervente, ma è anche, e non meno, lo Spirito di ordine (1 Corinzi 14:33, 40). È sorprendente che la Scrittura sottolinei particolarmente l’ordine in una discussione sui doni spirituali! Una sfida perenne della chiesa è cercare questo ardore ordinato o, se preferite, l’ordine dello Spirito infuso nel suo fervore.

Prima la Fondazione, poi la costruzione della sovrastruttura 

Secondo il Credo di Nicea, la chiesa “una santa cattolica” è anche “apostolica”. Cosa significa? Cosa costituisce l’apostolicità della chiesa? Ottenere una risposta biblica a questa domanda è il primo passo importante per arrivare alla conclusione che la Parola di Dio insegna che certi doni dello Spirito hanno in effetti adempiuto il loro scopo e sono cessati. Efesini 2:11-22 fornisce una visione completa della chiesa del Nuovo Testamento come qualsiasi passaggio negli scritti di Paolo o, in merito a questa materia, nel resto della Scrittura.

Usando una metafora biblica (cfr. 1 Pietro 2:4-8), Paolo afferma che la chiesa, composta ora da gentili e da ebrei, è il grande progetto di costruzione della casa che Dio ed il maestro architetto e costruttore è in fase di costruzione nel periodo che va dall’esaltazione di Cristo al suo ritorno. La chiesa è “… famiglia di Dio. Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare” (Efesini 2:19-20).

 

Due considerazioni strettamente correlate sono degne di nota in questa descrizione. Prima di tutto, notate che le fondamenta sono state finite. È un’entità storicamente completata. Quando un costruttore sa cosa sta facendo (come possiamo supporre che Dio lo sappia!), pone le fondamenta una volta e per sempre all’inizio del progetto. La fondazione non ha bisogno di essere messa ripetutamente . Dopo aver posto le fondamenta, si costruisce la sovrastruttura su quella stessa base.

Dal nostro punto di vista attuale, oggi, siamo nel periodo della costruzione della sovrastruttura. Cristo ha posto le fondamenta della sua chiesa. Ora sta costruendo su di esse.

 

In secondo luogo, questa conclusione è rafforzata quando consideriamo esattamente come gli apostoli e i profeti, insieme a Cristo, sono il fondamento della chiesa. Quando si parla della fondamenta di Cristo ci si riferisce alla sua opera salvifica, con la sua crocifissione e risurrezione: “Nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù” (1 Corinzi 3:11, cfr. 1 Corinzi 15:3-4). Tuttavia, anche gli apostoli appartengono alla fondazione. Questo non perché l’opera salvifica di Cristo sia in qualche modo incompleta, è piuttosto a causa della loro testimonianza, essi sono dei testimoni — autorizzati dallo stesso Cristo esaltato — come strumenti della rivelazione (ad es. Atti 1:22; Galati 1:1;1 Tessalonicesi 2:13). Il ruolo unico degli apostoli nel piano di salvezza di Dio nella storia viene alla luce nel testo di Efesini 2:20. In esso troviamo una correlazione attraverso tutta la storia della salvezza fino alla sua consumazione in Cristo (cfr. Ebrei 1:1-2). La Parola di Dio si concentra sulle azioni di Dio e così la questione è questa: l’opera fondamentale compiuta una volta e per sempre da Dio in Cristo, una volta per tutte, era collegata alla testimonianza apostolica che è fondamentale, cioè compiuta una volta e per sempre e che poi fu conclusa.

 

La Parola di Dio si concentra sulle azioni di Dio. Questa era la ragione per cui emersero i libri del Nuovo Testamento. Efesini 2:20, quindi, indica che gli apostoli avevano un ruolo temporaneo, non continuativo, nella vita della chiesa. Il loro ruolo consisteva nell’importante fase storica della fondazione della chiesa. La loro funzione era quella di fornire una rivelazione, infallibilmente autorevole, canonica dell’adempimento della storia della salvezza nell’opera compiuta da Cristo. Questa funzione è stata compiuta perfettamente. Non è qualcosa che appartiene al periodo successivo di costruzione della sovrastruttura. Gli apostoli fornirono invece le fondamenta complete e necessarie su cui Cristo continua a costruire la sovrastruttura della chiesa.

Altre parti del Nuovo Testamento confermano che l’ufficio di apostolo era temporaneo. Affinché qualcuno potesse essere un apostolo, doveva essere un testimone oculare di Cristo prima della sua ascensione (Atti 1:21-26). Paolo, in 1 Corinzi 15:7-9 (cfr. 1 Corinzi 9:1) guardava a se stesso come una eccezione di questo requisito. Insieme a ciò, sembra chiaramente dire che egli è l’ultimo degli apostoli.

Le epistole pastorali si occupavano in gran parte della preparazione apostolica per il futuro della chiesa dopo il tempo degli apostoli. Due di queste lettere sono indirizzate a Timoteo, che Paolo ha visto, più di chiunque altro nel Nuovo Testamento, come suo successore personale. Eppure Paolo non lo ha mai chiamato apostolo.

Alla luce della logica storica e redentiva già notata, la “successione apostolica” in senso personale è una contraddizione di termini. L’apostolicità della chiesa non è assicurata da una successione ininterrotta di incaricati che possono essere fatti risalire agli apostoli. Piuttosto consiste nella costante fedeltà all’insegnamento o alla tradizione degli apostoli (2 Tessalonicesi 2:15), così come è scritta nel Nuovo Testamento.

Molti appartenenti al movimento carismatico concordano sul fatto che gli apostoli—nel senso di coloro che sono “i primi” tra i doni dati alla chiesa (1 Corinzi 12:28; Efesini 4:11), come i Dodici e Paolo—non sono presenti nella chiesa di oggi. Almeno in questo senso, se lo realizzano o meno, la grande maggioranza dei carismatici di oggi sono in effetti “cessazionisti”. Chiunque riconosca la natura temporanea del ministero apostolico, deve riflettere — alla luce di altri insegnamenti del Nuovo Testamento – quali siano le ulteriori implicazioni che può avere questa posizione di base cessazionista.

 

Cosa possiamo dire invece della profezia?

Efesini 2:20 parla di queste importanti implicazioni. Il testo afferma che i profeti, insieme agli apostoli, hanno un ruolo fondamentale. Chi sono questi profeti? Chiaramente, non sono i profeti dell’Antico Testamento. Prima di tutto, si noti l’ordine delle parole: “apostoli e profeti”, non “profeti e apostoli”. Ancora più importante, solo pochi versi dopo e in parole quasi identiche, si dice che i profeti in questione appartengono all'”ora” della nuova alleanza, in contrasto con le “altre epoche” della storia passata (Efesini 3:5). Alcuni hanno recentemente sostenuto che questi profeti sono identici agli apostoli (nel senso di “gli apostoli che sono anche profeti”). Questa visione è difficilmente plausibile in vista del prossimo riferimento di Paolo agli apostoli e ai profeti (Efesini 4:11: “…alcuni come apostoli, altri come profeti”).

Efesini 2:20 implica chiaramente che la profezia era un dono temporaneo, dato per il periodo storico della fondazione della chiesa. Pertanto, insieme agli apostoli, i profeti del Nuovo Testamento non sono più una parte presente della vita della chiesa.

 

Cosa possiamo dire del dono delle lingue?

1 Corinzi 14 tratta del dono della profezia e delle lingue in modo molto più dettagliato di qualsiasi altro testo del Nuovo Testamento. Una rapida lettura mostrerà che, l’intero capitolo è strutturato attraverso un contrasto tra la profezia e le lingue (iniziando nei versi 2-3 [di 1 Corinzi 14], continuando per tutto il capitolo, culminando nel versetto 39).

La preoccupazione dell’argomento dell’apostolo è di mostrare la relativa superiorità o preferibilità della profezia rispetto alle lingue. La profezia infatti è “maggiore” perché (consiste in parole comprensibili agli altri), edifica la chiesa, mentre le lingue (incomprensibili agli altri) non lo fanno.

La condizione immediata, tuttavia, è che quando le lingue sono interpretate, sono alla pari della profezia per edificare gli altri (cfr. 1 Corinzi 14:4-5). Le lingue, quando non sono interpretate, sono offuscate dalla profezia. Ma le lingue interpretate sono funzionalmente equivalenti alla profezia. E così la Parola di Dio mette in relazione la profezia e le lingue. Potremmo anche dire che le lingue, sono lingue interpretabili e da interpretare (cfr. 1 Corinzi 14:13, 27), sono una forma di profezia.

Ciò che questi due doni hanno in comune, e il motivo per cui possono essere posti in contrasto in questo modo, è che entrambi sono doni di parole. Nello specifico, entrambi sono doni di rivelazione. Entrambi cioè portano la Parola di Dio alla chiesa nel senso originario, immediato e non derivato o mediato. Il versetto 30 [di 1 Corinzi 14] afferma esplicitamente che la profezia consiste in una rivelazione ricevuta. È anche chiaro, tra le altre considerazioni, dagli unici esempi di profezia nel Nuovo Testamento, quello di Agabo (ved. Atti 11:27-28; Atti 21:10-11) e il libro dell’Apocalisse (ved. Apocalisse 1:1-3).

Il dono delle lingue consiste in rivelazioni semplici, versetti 14-19. Sono parole ispirate cioè in modo immediato, anzi, praticamente in nessun modo sono mediate. Nel loro esercizio, le lingue ignorano completamente la “mente”, nel senso che l’intelletto di colui che le parla non produce ciò che viene detto. Lo Spirito Santo cioè  s’impadronisce della capacità di parlare e degli organi così che le parole pronunciate non sono le parole di colui parla in alcun senso. Inoltre, parlando del loro contenuto come “misteri” (1 Corinzi 14:2), Paolo conferma il carattere completamente rivelatorio delle lingue (così come il loro legame con la profezia, vedi 1 Corinzi 13:2). Altrove nel Nuovo Testamento, almeno senza chiare eccezioni, questa parola fa sempre riferimento alla rivelazione più specificamente, al contenuto storico-redentivo della rivelazione (ad es. Matteo 13:11, Romani 16:25-26; 1 Timoteo 3:16).

Da quei testi che sono più pertinenti e decisivi, emerge una spiegazione di base per la cessazione della profezia e delle lingue. Per il saggio e pieno di grazia disegno di Dio, apostoli e profeti hanno avuto un ruolo temporaneo nella storia della chiesa. Non hanno continuato dopo aver completato la fondazione. Le “specifiche” storico-redentive della casa-chiesa di Dio sono tali che apostoli e profeti non sono permanenti (cfr. Efesini 2:20). Tanto meno le lingue, dal momento che sono legate, come abbiamo visto, alla profezia (cfr. 1 Corinzi 14). Anch’esse sono cessate nella vita della chiesa, con la morte degli apostoli e dei profeti (e gli altri agenti di rivelazione per portare la Parola di Dio).

 

Ma she dire di 1 Corinzi 13:8-13?

Molti, tuttavia, ritengono che 1 Corinzi 13:8-13 insegni chiaramente che la profezia e le lingue non cesseranno fino alla seconda venuta di Cristo. Per loro, questo è un testo in un certo senso “trabocchetto” che di per sé risolve il problema. Ma questo brano dimostra davvero le loro conclusioni su questo tema?

Guardando attentamente 1 Corinzi 13:8-13, si noti che lo scopo principale è quello di confrontare la conoscenza presente con quella futura del credente. La conoscenza presente è parziale e oscura (cfr. 1 Corinzi 13:8-9), in contrasto con la conoscenza completa descritta con l’espressione “faccia a faccia” che sarà la nostra (cfr. 1 Corinzi 13:12) con l’arrivo della “perfezione” o della conoscenza perfetta (cfr. 1 Corinzi 13:10). Questa “perfezione” arriverà quasi certamente quando Cristo ritornerà in potenza e gloria. Ciò significa che questi doni non cesseranno fino alla Sua seconda venuta? Questa conclusione va oltre lo scopo di questo testo. L’accento di questo testo è sul carattere della nostra conoscenza attuale, in particolare sulla sua qualità parziale. I mezzi particolari attraverso i quali abbiamo questa conoscenza non sono il punto cruciale. Paolo aveva chiaramente una preoccupazione pastorale con il corretto esercizio della profezia e delle lingue nella chiesa di Corinto (cfr. 1 Corinzi 12-14). Pertanto, è comprensibile che li abbia menzionati in questo contesto specifico e non stava affrontando il problema di quando sarebbero cessati. Piuttosto, stava sottolineando il carattere parziale e opaco di tutta la nostra conoscenza finché Cristo non ritornerà. Questo è vero, indipendentemente dai mezzi attraverso i quali viene la conoscenza e la rivelazione (incluso, implicitamente, persino l’aver trascritto la rivelazione). Nel testo non ci si preoccupa di quando quei mezzi possono cessare. Efesini 4:11-13 rinforza questa interpretazione. Il Cristo esaltato “ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, […] fino a che tutti giungiamo all’unità della fede […] allo stato di uomini fatti [o maturi], all’altezza della statura perfetta di Cristo”. Quasi certamente l'”unità” e la “statura perfetta” del versetto 13 sono la stessa cosa della “perfezione” in 1 Corinzi 13:10. Efesini 4:13 forse fa eco a 1 Corinzi 13:10 attraverso l’uso della parola “perfetta” o “maturi”. Questa infatti è la situazione che Cristo porterà al suo ritorno. Dato che è così, se leggiamo Efesini 4 mentre i non cessazionisti insistono sul fatto che dovremmo leggere 1 Corinzi 13, rimanendo della conclusione inevitabile che ci saranno apostoli, così come profezie e lingue, fino alla seconda venuta di Cristo. Anche molti non cessazionisti, tuttavia, respingono giustamente questa conclusione.

Ma come possono essere presenti questi doni costantemente? In merito ai doni, in relazione all’obiettivo definitivo di questa prospettiva, in che modo questo passo è differente rispetto a 1 Corinzi 13:8-13?

I noncessatisti che riconoscono correttamente che oggi non ci sono apostoli nel senso di Efesini 2:20 e 4:11 non possono avere entrambe le cose. Se questi passi insegnano che la profezia/profeti e le lingue continuano fino alla Seconda Venuta, allora insegnano anche che gli apostoli continuano. Ma una comprensione più sana consiste semplicemente nel riconoscere che questi brani non affrontano nemmeno la questione se la profezia o le lingue (o qualsiasi altro dono) cesseranno o meno prima della Seconda Venuta. La lasciano una questione aperta, da risolvere con altri testi.

 

Un dilemma si pone davanti ai non-cessazionisti ed è questo: se la profezia e le lingue (come funzionano nel Nuovo Testamento) continuano oggi, allora i non-cessazionisti si trova di fronte all’implicazione abbastanza pratica e fastidiosa che la Sola Scrittura non è una rivelazione verbale sufficiente da parte di Dio. Nel migliore dei casi, il canone è solo relativamente chiuso.

In alternativa, se — come la maggior parte dei non cessazionisti insistono — “profezia” e “lingue” oggi non hanno un carattere rivelatorio o non lo sono completamente in tal senso, allora questi fenomeni contemporanei sono erroneamente definiti. Essi sono qualcosa di diverso dai doni della profezia e delle lingue che troviamo nel Nuovo Testamento. I non-cessazionisti sono presi da una sorta di anacronismo storico-redentivo. Stanno cercando all’interno della fase di costruzione della sovrastruttura della storia della chiesa qualcosa che apparteneva alla sua fase di fondazione. Sono coinvolti nello sforzo contraddittorio di cercare di sostenere che il canone del Nuovo Testamento è completo e chiuso e tuttavia allo stesso tempo che i doni di rivelazione per il periodo quando il canone era ancora aperto — i doni per quando i documenti del Nuovo Testamento erano ancora da scrivere — continuano.

 

Ma la Parola di Dio ci da modo di risolvere da questo dilemma. Ci mostra che per il saggio e pieno di grazia disegno di Dio, la profezia e le lingue hanno completato il loro compito e sono cessate. Ciò che rimane, al di sopra di tutto ed in modo unico, sufficiente ed autorevole fino alla venuta di Gesù, è “lo Spirito Santo che parla nella Scrittura” (Confessione di Fede di Westminster 1:10).

 

 

Traduzione a cura di Andrea Lavagna

 

 

Questo articolo è stato adattato, con il permesso dell’Alliance of Confessing Evangelicals, 1716 Spruce Street, Philadelphia, PA 19103, rispetto ad uno che era già stato pubblicato nel Modern Reformation.

 

Tematiche: Teologia

Richard B. Gaffin Jr.

Richard B. Gaffin Jr.

 

Ministro della OPC, è professore di teologia biblica e sistematica al Seminario teologico di Westminster a Philadelphia.

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