Conoscere Dio fa tutta la differenza

 

 

Ci sono due categorie di persone al mondo: quelle che hanno solo la vita naturale e quelle che hanno la vita soprannaturale in loro. Alcune persone sono nate soltanto una volta; altre sono nate due volte. Molti non credono e non amano Gesù come Signore e Salvatore. Solo pochi credono in Lui e lo amano.

Al momento può essere difficile distinguere queste due categorie di persone. Anche se false professioni di fede abbondano e persone non credenti dimostrano virtù considerevoli nella società, in fondo alla nostra comune umanità c’è una grande differenza: se conosciamo veramente Dio, mediante Gesù, o no. Con il tempo, l’albero porterà frutto, o no. Alla fine si vedrà se abbiamo veramente la vita soprannaturale in noi, o no.

Nel sermone sul monte, Gesù descrive i “Gentili” come coloro che non conoscono Dio. In quattro diverse occasioni essi sono gli esempi negativi di ciò che i cristiani non devono essere. Contro i nostri istinti naturali, e mediante la grazia della Parola di Dio e dello Spirito, Gesù ci chiama a non amare come i Gentili (Mat. 5:47), a non pregare come i Gentili (6:7), a non preoccuparci come i Gentili (6:32), e a non imitare la leadership dei Gentili (20:25; vedi anche Mr. 10:42; Lc. 22:25). In poche parole, egli ci chiama a vivere come persone che conoscono Dio.

 

Non come i Gentili.

Fino alla venuta di Cristo, i Gentili (i non Ebrei) erano, in generale, persone naturali e mondane, nate sotto il peccato e tuttora sotto il dominio del peccato: “eravate in quel tempo senza Cristo, estranei dalla cittadinanza d’Israele e estranei ai patti della promessa, non avendo speranza ed essendo senza Dio nel mondo” (Ef. 2:12). Dio scelse Abraamo, dando origine a un popolo speciale al quale egli rivelò se stesso. Dio parlò principalmente al suo popolo eletto, gli Ebrei, mentre i Gentili, con rare eccezioni, non ascoltavano né conoscevano il vero Dio.

Anche nel ministero di Paolo, l’apostolo degli stranieri (Rom. 11:13; 1 Tim. 2:7), quello stigma rimase. Paolo scrisse che Cristo crocifisso era “pazzia per gli stranieri” (1 Cor. 1:23) ed esortò i suoi convertiti a non comportarsi più “come si comportano i pagani nella vanità dei loro pensieri” (Ef. 4:17). Anche Pietro mise in guardia i cristiani dai Gentili che “sparlano di voi, chiamandovi malfattori” (1 Pt. 2:12); egli fece una distinzione netta tra la condotta cristiana e “la volontà dei pagani [che vivono] nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie, e nelle illecite pratiche idolatriche” (1 Pt. 4:3).

In modo forse ancora più eloquente, Paolo scrive ai credenti: “che ciascuno di voi sappia possedere il suo vaso in santità ed onore, non con passioni disordinate, come i gentili che non conoscono Dio” (1 Tes. 4:4-5). In fondo, non è una questione di etnia, ma di conoscere Dio. Il cristianesimo dichiara in modo radicale, e costituisce la straordinaria realtà, che mediante Gesù Cristo, e per mezzo del suo Spirito, possiamo conoscere il vero Dio e possiamo godere di un rapporto con lui. Due categorie di persone popolano il nostro mondo: quelli che conoscono Dio in Cristo, e quelli che non lo conoscono.

 

Conoscere Dio.

Considerato che nel primo secolo ci si attendeva che gli Ebrei lo conoscessero, perché a loro furono affidate le rivelazioni di Dio (Rom. 3:2), e che i Gentili non lo conoscessero, non sorprende che Gesù si serva di queste categorie nel sermone sul monte.

Gesù chiama il suo popolo, coloro che conoscono il vero Dio come Padre, a praticare forme di amore, preghiera, vita e leadership diverse dall’“andazzo di questo mondo” (Ef. 2:2) e dalle “passioni del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza” (1 Pt. 1:14). Egli ci chiama ad amare, pregare, vivere e guidare non secondo i nostri istinti naturali, ma secondo una potenza, una prospettiva e una pratica soprannaturali.

In che modo il nostro amore, le nostre preghiere, le nostre ansietà, e la nostra leadership saranno diverse dall’andazzo di questo mondo, quando conosciamo Gesù?

 

Come non amare.

Uno degli insegnamenti più famosi di Gesù è la sorprendente chiamata ad amare i nemici. “Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi maltrattano e vi perseguitano” (Mat. 5:44). Anche i Gentili amano i loro amici.

Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? (Mat. 5:46-47)

C’è quindi un amore dei Gentili, che è lo stesso amore che hanno i pubblicani. Persino i pubblicani amano quelli che li amano. Persino i Gentili salutano quelli che li salutano. È semplicemente naturale.

Gesù chiama il suo popolo ad amare e salutare gli altri andando oltre a ciò che è naturale. Egli ci chiama a un amore soprannaturale che va oltre gli schemi e le regole di questo mondo, un amore che non ha la sua ricompensa immediata in questa vita, ma che aspetta pazientemente la ricompensa celeste. Un amore che oltrepassa le aspettative di questo mondo, che sfida ogni spiegazione naturale, in modo tale che prima o poi la gente dirà che c’è qualcosa di diverso in noi.

L’amore per i nemici è l’amore che il Padre ha mostrato verso di noi (Rom. 5:8, 10), quello che farà vedere al mondo che siamo “figli del Padre vostro che è nei cieli” (Mat. 5:45). Amare i nostri nemici non ci fa meritare di essere suoi figli ma è l’evidenza che lo siamo. Mostriamo l’amore soprannaturale del nostro Padre celeste quando amiamo coloro che (ancora) non ci amano.

Come non pregare.

Poche frasi dopo, Gesù espone una visione radicalmente nuova della preghiera, che è diversa dal modo naturale in cui gli uomini pregano. “Ora, nel pregare, non usate inutili ripetizioni come fanno i pagani, perché essi pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole” (Mat. 6:7).

Senza una rivelazione speciale da parte di Dio, nella sua parola e nel suo Figlio, l’uomo naturale crede di dover ottenere o guadagnare l’attenzione di Dio con “un gran numero di parole” — accumulando frasi pie. Gesù ci dà un’immagine totalmente diversa del Padre, il quale “sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate” (Mat. 6:8). In Cristo, conosciamo Dio com’egli è realmente, come un Padre amorevole e personale che vede e conosce ogni nostro bisogno. Ciò significa che non dobbiamo cercare di richiamare la sua attenzione con tante parole e frasi vuote.

Gesù quindi ci lascia una preghiera modello che è sorprendentemente diretta e semplice: soltanto cinquanta parole (Mat. 6:9-13). I cristiani pregheranno in modo diverso da coloro che possono soltanto speculare su com’è fatto veramente Dio. La differenza sta tutta nel conoscere il vero Dio, non un prodotto dell’immaginazione e della congettura umana. “Non siate dunque come loro [i Gentili], perché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate” (Mat. 6:8).

 

Come non preoccuparsi.

Poi Gesù passa a parlare dei timori e delle ansie di questa vita. “Non siate con ansietà solleciti per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di che vi vestirete. La vita non vale più del cibo e il corpo più del vestito?” (Mat. 6:25). Egli porta i suoi seguaci a guardare oltre le cose essenziali per l’esistenza umana che possono ossessionare la mente naturale, soprattutto quando il cibo, il bere e i vestiti scarseggiano. Tuttavia, se conosciamo Dio come Padre, sappiamo che egli si prende cura delle sue creature, tanto più degli uomini creati a sua immagine.

Guardate gli uccelli del cielo, come egli li nutre. Guardate i gigli, come egli li veste. Non valete molto di più di molti uccelli e di un’infinità di gigli per il Padre vostro? “Non siate dunque in ansietà, dicendo: «Che mangeremo, o che berremo, o di che ci vestiremo?» Poiché sono i gentili quelli che cercano tutte queste cose; il Padre vostro celeste, infatti, sa che avete bisogno di tutte queste cose.” (Mat. 6:31-32).

I Gentili cercano le cose della terra senza guardare al cielo. Gesù chiama il suo popolo, che conosce il Padre suo, ad elevarsi al di sopra delle preoccupazioni basilari delle persone normali e a “cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia” (Mat. 6:33), facendo affidamento sull’aiuto e sulla sollecitudine del Padre.

 

Come non guidare.

Arriviamo infine a Matteo 20, dove la madre di Giacomo e Giovanni chiede a Gesù se i suoi figli possono sedere l’uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra nel suo regno. Era una richiesta audace, più di quanto lei potesse immaginare. Gesù le risponde che non sta a lui decidere (Mat. 20:23), ma poi dice di più, facendo notare il fondamento precario dietro alla sua richiesta.

Una tale richiesta è fondata sulla concezione dei Gentili (o naturale) della leadership come privilegio personale. Gesù chiama i suoi uomini ad avere un’altra visione, la sua stessa visione della leadership soprannaturale che egli sta vivendo mentre cammina verso la croce.

Gesù, chiamatili a sé, disse: «Voi sapete che i sovrani delle nazioni le signoreggiano e che i grandi esercitano il potere su di esse, ma tra di voi non sarà così; anzi chiunque tra di voi vorrà diventare grande sia vostro servo; e chiunque tra di voi vorrà essere primo sia vostro schiavo. Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Mat. 20:25-28).

La leadership naturale signoreggia su coloro che sono sotto il nostro comando. La leadership dei Gentili esercita il dominio senza donarsi nel servizio. Ma Gesù dice: “Non è così tra di voi”. Egli stesso sta indicando una nuova strada da percorrere, e chiama i suoi seguaci ad andare dietro a lui. Egli non usa i suoi seguaci per un tornaconto personale. Egli non li svuota per riempire se stesso. Anzi, nella sua pienezza, Gesù svuota se stesso, senza rinunciare alla sua signoria, per il bene dei suoi seguaci. Egli non rinuncia alla sua autorità ma la esercita per il bene di coloro che il Padre gli aveva affidato, e non per fini egoistici.

 

Speranza per i Gentili.

Gesù chiama il suo popolo a distinguersi dal mondo, dai suoi schemi, e da ciò che è naturale. Egli ci chiama, guidati dal suo vangelo e equipaggiati dal suo Spirito, ad essere come il Padre nostro soprannaturale che è nei cieli, il quale ci ha amati quando eravamo ancora nemici, ascolta le nostre semplici preghiere di bambini, conosce e si prende cura di ogni nostro bisogno, ed esercita autorità con grazia e sacrificio di sé, senza dominarci e senza usare la mano pesante.

La grazia trasformatrice di Dio significa che c’è una grande speranza per i Gentili. I riferimenti negativi ai Gentili nei Vangeli prorompono presto in una gloriosa speranza per i Gentili in Atti e Romani, in quel grandioso “rivolgersi agli stranieri” (At. 13:46). Non c’è Gentile, non importa quanto lontano sia stato, che Cristo non possa raggiungere; e il nostro Signore ama redimere il modo in cui noi, Ebrei o Gentili, non riusciamo ad amare, pregare, vivere e guidare come dovremmo.

Dio non è sorpreso se abbiamo bisogno di una profonda riconversione, e se spesso torniamo alle nostre vecchie vie di Gentili. Malgrado ciò, ad ogni passo del nostro cammino verso la gloria finale, conoscere lui fa tutta la differenza.

 

 

Il presente articolo è apparso sul sito di ImpattoItalia.org. Per gentile concessione

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Tematiche: Comunione, Cristianesimo, Insegnamento biblico, Vita Cristiana

David Mathis

David Mathis

 

Redattore esecutivo di desiringGod.org, pastore della Cities Church di Minneapolis/Saint Paul, e professore associato al Bethlehem College & Seminary. È marito, padre di quattro figli, e autore di Habits of Grace: Enjoying Jesus through the Spiritual Disciplines e di  Workers for Your Joy: The Call of Christ on Christian Leaders (2022).

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