Come possiamo dire che il cristianesimo sia l’unica religione giusta? (Parte2)

 

Tratto dal libro: “Sopravvivere all’università (“Lettere a uno studente cristiano che lotta per conservare la sua fede”). Edizioni Coram Deo.

 

 

Cara Emma,

 

Tutte le verità non sono forse relative?

Anche se alcuni dei tuoi compagni ammetteranno che non tutte le religioni sono uguali, probabilmente avanzeranno un’altra obiezione contro l’esclusività del cristianesimo: potrebbero sostenere che non possa essere l’unica vera religione perché ogni presunta verità è comunque relativa. Sentirai frasi del tipo: “Il cristianesimo potrebbe essere la tua verità, ma ciò non significa che sia la mia verità”.

In altre parole, qualcosa potrebbe essere vero per una persona, ma non per un’altra: la verità non è oggettiva, bensì personale; non è qualcosa “là fuori” da scoprire ed esaminare, ma piuttosto è dentro di noi, stabilita da ogni individuo e ogni cultura.

Questo approccio – noto come relativismo – sembra a prima vista molto equilibrato e ragionevole. Suona modesto, persino umile, nel sostenere che “non c’è nessuna religione che sia più vera di un’altra”. In effetti, sembra proprio la giusta ricetta per la pace: non è necessario discutere di religione se tutte sono ugualmente “vere”!

Tuttavia, il relativismo incorre in alcuni problemi intellettuali molto seri, anzi insormontabili: per esempio, noterai che non è seguito coerentemente (e non può esserlo) dai suoi stessi sostenitori. È vero che sembra la via giusta quando si parla di religione, ma cosa dire degli altri aspetti delle nostre vite? Una frase come “la terra è rotonda” può forse essere vera per una cultura, ma non per un’altra? Se un dottore dice a una persona che ha il cancro, costui potrebbe rispondergli: “Questa è la tua verità, non la mia”? Il buon senso ci mostra che il relativismo non può funzionare.

Ovviamente, gli scettici potrebbero cercare di limitare il loro relativismo alle sole questioni religiose, ma anche questo comporta delle difficoltà: il cristianesimo propugna verità storiche oggettive che non possono che essere o vere o false. Per esempio, quando si parla della risurrezione corporea di Cristo dalla tomba, non è possibile dire: “Sarà vero per te, ma non per me”. O è risorto o no; ciò che i singoli individui credono (o pensano) a riguardo non cambierà la realtà dei fatti.

A ogni modo, il relativismo presenta un problema ben più grande, un difetto fatale, potremmo dire. Infatti, finisce per autocontraddirsi. Dicendo: “Non esiste alcuna verità oggettiva”, i suoi sostenitori stanno di fatto pronunciando una pretesa verità oggettiva. Detto in altre parole, il relativismo ha senso solo se la frase: “Non esiste alcuna verità oggettiva” è oggettivamente vera. Perciò, funziona soltanto se è esentato dall’osservanza delle sue stesse leggi.

Dunque, appoggiare il relativismo equivale a dire per esempio: “Tutte le frasi sono false”. Se però tutte le frasi sono false, allora anche questa stessa frase appena pronunciata lo è.

Incredibilmente, la maggior parte dei relativisti non percepisce l’enorme incoerenza della propria posizione. Pensa a questa affermazione del celebre spiritualista indiano Sri Chinmoy: “Le false religioni troveranno difetti nelle altre religioni; diranno che la loro è l’unica valida e che il loro profeta è l’unico salvatore. Tuttavia, una vera religione capirà che tutti i profeti sono salvatori dell’umanità”.15 In poche parole, Chinmoy sta dicendo che è sbagliato dire agli altri che la loro religione è sbagliata. Eppure, lui non sta forse facendo proprio ciò che sta vietando? Sta dicendo che tutte quelle religioni che sostengono di essere nel giusto sono in effetti sbagliate. Anzi, le chiama persino “false religioni”! Non ha molto senso rimproverare e condannare gli altri tacciandoli di intolleranza e dogmatismo se i primi a macchiarsi di questi errori siamo noi.

Ecco il punto della questione: per poter riprendere chi fa affermazioni di verità assoluta, i relativisti stessi devono pronunciare la loro verità assoluta (ossia, che non esistono verità assolute). Dunque, quello che in partenza sembrava un atteggiamento umile finisce per essere tanto dogmatico e assolutista quanto la posizione che vorrebbe condannare.

Detto francamente, il relativismo non è altro che orgoglio mascherato da modestia: agisce come i dèi greci Zeus ed Ermes, che spesso si travestivano da campagnoli ordinari nelle loro relazioni con l’umanità. Quello che all’apparenza sembrava un umile mortale era invece un essere divino.

 

Ciechi che guidano ciechi

Per darti un esempio di come i relativisti nascondono le loro stesse affermazioni dogmatiche, lascia che porti alla tua memoria un viaggio che come famiglia abbiamo fatto nel 2015. Nell’autunno di quell’anno, abbiamo fatto un breve giro nelle montagne della Carolina del Nord e abbiamo visitato Biltmore Estate, una delle più grandi dimore storiche in America, che ospitava un’esposizione d’arte che includeva una serie di opere affascinanti.

Eppure, ci fu in particolare un’opera che attrasse la nostra attenzione: era la statua di un elefante circondato da diversi uomini ciechi che, strisciandogli intorno, gli toccavano tutto il corpo. Eri rimasta molto confusa (comprensibilmente!) da quella scultura strana e mi chiedesti cosa significasse. Ti dissi che era una celebre analogia di come funzionasse la religione.

Secondo i relativisti, la religione è pari a una serie di uomini ciechi che tastano piano piano le varie parti del corpo dell’elefante; man mano che cercano di stabilire che aspetto abbia un elefante, uno tocca la proboscide ed esclama: “Un elefante è come un serpente!”. Un altro sente la coda e dice: “Un elefante è come una corda!”. Un altro ancora mette le mani su una gamba e afferma: “Un elefante è come un tronco!”. Così, secondo quanto affermano i relativisti, hanno tutti ragione perché ciascuno vede solo una parte della verità. Ecco come funziona la religione.

Tuttavia, il problema centrale dell’analogia dell’elefante è che chi la impiega dà per scontato di essere personalmente in grado di vedere l’intero elefante e, ovviamente, di non essere cieco! Di fatto sta dicendo: “Lasciate che vi spieghi come tutte le religioni funzionano davvero”. Si tratta di un’affermazione colossale che richiede una quasi totale onniscienza. Come potrebbe questa persona sapere come funzionano tutte le religioni? Perché poi dovrebbe essere esente dall’analogia che essa stessa ha impiegato?

Ancora una volta, quella che sembra essere un’affermazione piuttosto modesta (ossia che le religioni vedono solo una parte della verità) si trasforma di fatto in un’esclamazione dogmatica.

Ovviamente, i credenti sostengono di sapere in che modo funzioni davvero la religione, ma è proprio qui che sta la differenza: non basiamo la nostra affermazione sui nostri sforzi di comprendere Dio. Piuttosto, crediamo che il Signore si sia rivelato a noi per grazia o, detto in altre parole, che sia l’elefante a parlare. Diversamente dall’analogia nella quale la creatura è silenziosa e lascia che siano i ciechi a cercare di comprendere la sua natura, i credenti sono convinti che Dio abbia spiegato chiaramente quale sia la sua natura. Non c’è nulla di arrogante nel credere semplicemente a ciò che l’Eterno stesso ha detto su di sé.

 

Non essere d’accordo equivale a mancare di rispetto?

Mentre discutiamo di questo tema, sentiamo che sotto sotto c’è un’altra questione da affrontare: come trattare chi nutre convinzioni religiose diverse dalle nostre? I tuoi compagni – senza dubbio influenzati da persone come Sri Chinmoy – sosterranno che non ci possiamo permettere di dire a fedeli di altre religioni che sono nell’errore, sarebbe un atto di ostilità e aggressione. Dire che un altro credo è sbagliato è il primo passo verso la violenza e le atrocità.

Eppure, ancora una volta tutto questo non è che un profondo malinteso sulla mentalità cristiana: affermando che Gesù è l’unica via non vogliamo affatto denigrare, sminuire o disprezzare gli adepti di altre religioni. Al contrario, siamo chiamati da Cristo a mostrare bontà, pazienza e grazia a tutti, persino (e forse specialmente) a coloro con i quali non siamo d’accordo. Possiamo dire a un induista che si sta ingannando e allo stesso tempo trattarlo con dignità. Disaccordo non è sinonimo di disprezzo.

Purtroppo, il nostro mondo postmoderno ha deciso che i due termini si equivalgono: per molte persone, non concordare equivale a mancare di rispetto, il che spiega l’ostilità verso il cristianesimo. Ciò ha profondamente influenzato il contesto universitario. Per le generazioni precedenti era ovvio che l’impegno intellettuale prevedesse ogni sforzo per persuadere gli altri della giustizia della propria opinione. Dibattiti accessi erano all’ordine del giorno nel mondo accademico. In effetti, simili interazioni erano di fatto segno di rispetto e non di disprezzo: indicavano che si stavano prendendo sul serio le vedute altrui tanto da affrontarle.

Non è più così: sventolando la bandiera della “tolleranza”, la gente è sempre più restia ad esprimere disaccordo. Ci è richiesto di adottare una visione della verità che sia relativista, così che nessuno sia offeso da ciò che potremmo dire. Ciò ha condotto a una profonda crisi della libertà di parola nei campus universitari. Invece di incoraggiare un sano scambio di idee, le università sono più interessate a essere luoghi sicuri, privi di ogni forma di micro-aggressione o provocazione.

Questo significa che devi essere preparata a sopportare l’ostilità di coloro con cui cerchi di condividere quello in cui credi. In certi casi, potresti essere persino derisa e presa in giro per aver affermato che Cristo è l’unica via. Tu, però, mantieni la tua posizione e continua a farlo sempre con dolcezza. È la combinazione di queste due cose a essere così potente: alcuni credenti tengono il punto, ma non dimostrano bontà verso chi non concorda con loro; altri sono gentili verso i dissidenti, ma smettono di credere che Cristo sia l’unica via. Sei chiamata a fare entrambe le cose: rimani convinta dell’unicità di Cristo e al contempo mostra dolcezza e compassione. Una cosa non esclude l’altra; anzi, i due atteggiamenti vanno a braccetto.

 

Qui trovi il collegamento alla pagina del libro da cui è tratto l’articolo:

Sopravvivere all’università

 

Tematiche: Battaglia spirituale, Cultura e Società, I nostri libri, Vita Cristiana

Michael J. Kruger

Michael J. Kruger

 

E’ presidente della Reformed Theological Seminary’s Charlotte, nella Carolina del Nord, dove serve anche come professore di Nuovo Testamento. Ha servito come presidente dell’ Evangelical Theological Society (ETS) nel 2019. É l’autore di Christianity at the Crossroads: How the Second Century Shaped the Future of the Church (IVP Academic, 2018) e Canon Revisited: Establishing the Origins and Authority of the New Testament Books (Crossway, 2012). Scrive regolarmente sul blog di Canon Fodder.

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