Come va inteso il “Risveglio”?

 

 

Questo articolo è un estratto tratto dal libro Pentecoste, pubblicato da Coram Deo

 

Ti consiglierei, fratello mio,

di non parlare troppo sul «risveglio».

Finirai per logorare la parola stessa.

Theodore Cuyler

 

 

Sembrerebbe che il consiglio con cui il newyorkese Cuyler avvertiva i suoi colleghi ministri più di secolo fa non abbia ricevuto vasti consensi. Il termine “risveglio” ha continuato a essere uno dei più popolari del vocabolario evangelico. Riferendosi al bisogno di “vero risveglio”, nel 1937 Wilbur M. Smith scrisse: “Ne parlano i nostri articoli religiosi, ne parlano i ministri dai pulpiti e alle conferenze bibliche i giovani vengono incoraggiati a pregare e a darsi da fare per un grande avanzamento della chiesa di Cristo”.

 

Simili discussioni sul tema sono continuate a intermittenza fino a oggi, talvolta con fiduciose predizioni che il risveglio sia alle porte. Eppure, nonostante tutto quello che è stato detto e scritto, non esiste una comprensione chiara e condivisa di tale parola tanto usata. Ciò è dovuto in parte al fatto che il termine “risveglio”, come molti altri, ha cambiato significato nel corso del tempo.

I significati più disparati vanno da un’effusione dello Spirito Santo a un qualunque periodo di fervore spirituale o semplicemente a una serie di riunioni speciali. Poche parole nell’impiego cristiano contemporaneo sono arrivate a rappresentare un insieme talmente variegato di idee.

 

Avvertimento sulla teologia

A causa di questa confusione sul significato del termine, è comprensibile che alcuni sostengano di far cadere del tutto in disuso la parola. Dopotutto, “risveglio” non è un termine presente nella Bibbia. Inoltre, dato che talvolta la parola viene identificata con quanto è stato screditato, faremmo meglio a farne a meno. “Siamo stanchi di risvegli religiosi”, lamentava più di cinquant’anni fa William Sperry, decano della Harvard Divinity School.

Per questo, forse sarebbe il caso di porre fine all’attuale confusione smettendo di usare tale parola. Probabilmente, come temeva Cuyler, il termine è stato logorato dall’uso.

Certamente, non è per una questione di principio che si dovrebbe mantenere il termine. È la cosa di per sé che conta, non il vocabolo. Bisognerebbe anche riconoscere che se continuiamo a parlare di “risveglio”, non dobbiamo permettere al suono della parola di determinare la nostra comprensione del suo significato. Nell’impiego della lingua italiana, “risveglio” suggerisce di solito la ripresa della vita quando è in declino, quindi – se si assume che sia questa l’essenza del significato – il risveglio si verifica solo dove vi sia stato un precedente declino nelle chiese. Tale sequenza si è verificata spesso: a un periodo di decadenza è seguito un risveglio. Il fatto, però, di supporre che la parola esiga tale presupposto, implicherebbe fissare un significato della parola contrario ai fatti.

Talvolta il fenomeno si è verificato ai primissimi inizi della vita delle chiese, come per David Brainerd tra gli Indiani di Crossweeksung, nel New Jersey nel 1745; con i missionari metodisti nel Pacifico nel XIX secolo e, in verità, nello stesso libro degli Atti degli Apostoli. Quindi, non dobbiamo pensare al risveglio solo nei termini dell’alternativa al declino, supponendo che la storia della chiesa sia da dividere o nell’una o nell’altra delle due condizioni. Dove si adotta un modo simile di pensare, ne seguiranno veri e propri errori, come spero di riuscire a mostrare nelle pagine successive.

 

 

Qualcuno potrebbe chiedersi:
“Essere ravvivati non è sempre un dovere cristiano?

Se questo non accade, l’unica conclusione da trarre non è la prevalenza del declino
dove non c’è risveglio?”

 

La domanda sottintende che il risveglio corrisponda alla salute spirituale che dovrebbe essere sempre normativa nella chiesa. Tuttavia, rettamente intesi, risveglio e salute spirituale non devono essere considerati identici. Probabilmente, l’errore è sorto in parte dalla terminologia occasionale delle nostre versioni dell’Antico Testamento. È stato di uso comune fare un collegamento tra il fenomeno che noi chiamiamo risveglio e la parola stessa, nella forma verbale, che compare ad esempio nel Salmo 85:6: “Non tornerai tu a ravvivarci, onde il tuo popolo si rallegri in te?” (Versione Riveduta). Il verbo qui tradotto con “ravvivare”, però, è un termine dal senso ampio che comunica in genere l’idea di “vivere”. Solo in pochi altri casi ‒ in cui la stessa parola ebraica è usata dagli autori dell’Antico Testamento ‒ essa viene tradotta con “ravvivarsi” nella versione King James e nella New King James per le versioni più antiche (si vedano Esdra 9:8-9; Isaia 57:15; Osea 6:2 e Abacuc 3:2). Tra le versioni italiane, solo la Riveduta traduce il termine con “ravvivare” nel Salmo 85:6.Questi testi non forniscono una base biblica per il significato di risveglio. Se lo vogliamo conoscere, dobbiamo guardare altrove. Nell’usare la parola “ravvivare”, i traduttori della nostra versione del 1611 non intendevano fare alcun collegamento con il fenomeno che noi chiamiamo “Risveglio” per il semplice fatto che questo termine a loro era sconosciuto, nel senso convenzionale che venne ad assumere. Fu solo ai tempi di Cotton Mather (1663-1728) che essa cominciò a diventare d’impiego comune nella lingua.

Riconosco, quindi, che l’effettiva parola “risveglio”, così come molti altri termini teologici, non sia di origine biblica e quindi non dobbiamo permettere alle interferenze della parola di monopolizzare la nostra comprensione. Ciò spetta solo alle Scritture. Tuttavia, nonostante queste riserve, si può affermare che vi siano dei vantaggi nel mantenere la parola. Cambiarla semplicemente con un’altra non metterebbe fine all’attuale confusione perché il disaccordo esistente riguarda effettivamente il fenomeno in sé. Come è stato già detto, il problema principale sta nel modo in cui vada intesa la cosa stessa.

Qui può venirci in aiuto l’impiego fattone in passato. Le chiese del mondo anglofono hanno registrato molti periodi in cui si è verificato un successo improvviso e straordinario del Vangelo nel mondo. In relazione a tali periodi, il termine “risveglio” ha fatto parte del vocabolario cristiano sin dalla metà del XVIII secolo.

 

Il fenomeno e la parola andarono insieme per molto tempo e, se non altro per questo, dobbiamo sapere in che modo era impiegato il termine in origine per capire in maniera corretta i documenti pubblicati. Questo non solo renderà la storia più significativa ma, cosa ancora più importante, richiamerà la nostra attenzione sulla teologia su cui si basava il termine. Se ci sbarazzassimo semplicemente della parola, potremmo perderci più di quanto non riusciremmo a guadagnarci con una qualunque sostituzione moderna senza radici storiche.

 

A prescindere da come si definisca il risveglio, i cristiani evangelici sono tutti d’accordo che esso abbia a che fare con la persona e l’opera dello Spirito Santo. Questo ci fornisce, in via preliminare, un avvertimento ancora più importante. L’umiltà d’animo è un requisito indispensabile per affrontare questo argomento. Il finito può afferrare solo una piccola parte dell’infinito: “Noi infatti siamo di ieri e non sappiamo nulla, perché i nostri giorni sulla terra sono come un’ombra. […] Sì, Dio è grande, ma noi non lo conosciamo” (Giobbe 8:9; 36:26).

Cristo ci ha avvisati che noi, che non riusciamo a capire nemmeno il mistero di come soffia il vento, non dovremmo sorprenderci di non riuscire a sondare l’opera dello Spirito (Giovanni 3:7-8). La sua opera va costantemente molto al di là della nostra comprensione: il suo potere creativo nel grembo di Maria; il suo influsso nel far scrivere in modo inerrante le Scritture mediante strumenti umani; la sua azione nella rigenerazione; il suo modo di dimorare nello spirito e nel corpo dei cristiani; la sua opera futura nel risuscitare quegli stessi corpi dalla tomba. La comprensione di tutte queste cose ci è in larga parte preclusa. Come ha scritto Robert Traill, uno dei puritani: “L’azione dello Spirito nei credenti, la comunione dello Spirito Santo, è un grande mistero. Egli opera in loro più di quanto essi stessi sentano o sappiano, ed essi sentono più di quanto riescano ad esprimere a parole, ed essi esprimono più di quanto possa capire chiunque non abbia ricevuto «lo stesso spirito di fede» (2 Corinzi 4:13)”.

Coloro che hanno assistito a grandi risvegli sono stati i primi a dire che c’era davvero tanto da lasciarli stupefatti e consapevoli del mistero. Theodore Cuyler, riesaminando la propria vita, scrisse:

 

 

Dopo una lunga esperienza pastorale e frequenti fatiche nei Risvegli, confesso che c’è molto di completamente misterioso a loro riguardo. Il nostro Dio è sovrano. Spesso, sembra trattenere il suo potere di conversione nel momento stesso in cui, secondo i nostri calcoli, dovremmo aspettarcelo. Ho avuto molte delusioni di questo tipo. Invece, sono scese molte piogge di benedizioni celesti quando non ce le stavamo aspettando.

 

 

 

In un discorso sui “Risvegli della religione”, W. W. Patton fece la stessa osservazione. Egli credeva che i risvegli “abbiano un posto di speciale onore e potenza sotto la dispensazione dello Spirito Santo”. Dava, però, questo avvertimento: “È anche indubbio che essi abbiano la loro legge nella mente di Dio, sebbene ancora nessuno sia riuscito a definirla in maniera definitiva, ovvero a portarli sotto le condizioni fisse di tempo e di circostanze”.

Se riuscissimo a capire i risvegli, non sarebbero più le cose straordinarie che sono. “«Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri né le vostre vie sono le mie vie», dice l’Eterno. «Come i cieli sono più alti della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri»” (Isaia 55:8-9).

L’avvertimento di Patton è giusto. Andrew Murray, che sperimentò il Risveglio in Sud Africa, diede un avvertimento simile quando scrisse: “Dobbiamo stare attenti a stabilire leggi fisse. I doni e l’amore di Dio sono più grandi dei nostri cuori”.

Qui ci sono questioni che ci superano e lo faranno sempre. Eppure, questo non equivale a dire che dovremmo rassegnarci alle difficoltà che scaturiscono dall’attuale confusione di pensiero perché le difficoltà non sminuiscono la nostra responsabilità. In 1 Pietro 1:12-13 l’apostolo dice che le grandi cose predette dai profeti e ora annunciate dai predicatori “mediante lo Spirito Santo mandato dal cielo” sono “cose nelle quali gli angeli desiderano guardare dentro”. Sebbene l’argomento superi perfino la comprensione degli angeli, segue il comando: “Perciò, avendo cinti i lombi della vostra mente” (v. 13). I nostri pensieri non devono essere lasciati a penzoloni come dei vestiti che impediscano la corsa. Dobbiamo desiderare ardentemente di capire.

È degno di nota che vi siano più libri che descrivono i Risvegli di quanti ne trattino le basi bibliche. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che leggere sui risvegli è più piacevole e all’inizio, forse, più ispiratore del sottoporsi alla fatica di definire una teologia biblica che spieghi e giustifichi il fenomeno. A lungo andare, però, dev’essere la seconda cosa ad avere più importanza. Come ha osservato un autore: “Dobbiamo pensare di più a certi interrogativi sollevati anziché leggere di più su altri risvegli.

 

 

Che cos’è il risveglio? La questione della definizione è fondamentale”.Uno dei motivi è che teorie diverse e contrastanti hanno inevitabilmente dirette conseguenze pratiche nella vita della chiesa. Insegnare su qualunque argomento spirituale, sia esso vero o falso, ha sempre delle implicazioni nell’esperienza e soprattutto con un tema importante come questo. Quindi, dev’essere accordata la priorità a un esame delle attuali concezioni per formulare un’opinione su quali di esse, seppure ve ne fosse una,‒ possa ricevere la migliore giustificazione biblica.

Sembrerebbe che le attuali divergenze sul risveglio, tra quelle che riconoscono le Scritture come Parola di Dio, possano essere ricondotte a tre scuole interpretative. Le esaminerò una per volta.

 

La Pentecoste, una volta per tutte

Secondo questa teoria, il concetto di risvegli occasionali non è affatto biblico. Si dice che non dovremmo parlare di risvegli come eventi straordinari, periodici, perché tutta l’èra in cui viviamo è quella di Pentecoste e degli “ultimi giorni”. La chiesa dell’Antico Testamento pregava per il risveglio. Dio promise che avrebbe ravvivato il suo popolo mediante l’effusione dello Spirito negli “ultimi giorni” e queste preghiere e promesse furono permanentemente adempiute nel giorno di Pentecoste. Fu allora che venne dato lo Spirito Santo secondo la promessa di Cristo: “Ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, che rimanga con voi per sempre” (Giovanni 14:16). Perciò, lo Spirito Santo fa parte dell’attuale eredità della chiesa. Le Scritture non dicono forse: “Ma se uno non ha lo Spirito di Cristo, non appartiene a lui” (Romani 8:9) o ancora: “Ora noi tutti siamo stati battezzati in uno Spirito nel medesimo corpo” (1 Corinzi 12:13)? Risveglio significa la presenza dello Spirito Santo, e dato che lo Spirito viene dato, i cristiani hanno bisogno di rendersi conto di quanto è già loro. Qualunque idea di risveglio come un’effusione dello Spirito come evento futuro, da aspettare e per cui pregare, è pertanto ‒ secondo loro ‒ un serio errore.

Questa concezione è stata ampiamente sostenuta nelle chiese riformate di tradizione olandese. Uno dei suoi portavoce fu l’eminente Abraham Kuyper, che scrisse:

 

Pregare per un’altra effusione o battesimo nello Spirito Santo è scorretto e privo di reale significato. Tale preghiera nega effettivamente il miracolo di Pentecoste, perché Colui che venne a dimorare con noi non può più venire a noi.

 

Frederick D. Bruner adotta la stessa posizione nel suo libro più recente e celebre, A theology of the Holy Spirit (lett. Una teologia dello Spirito Santo). Lui afferma che il battesimo dello Spirito appartiene esclusivamente alla Pentecoste e non possono esserci “repliche” della Pentecoste, né “piccole Pentecosti”.

Torneremo in seguito su questa concezione, ma per il momento voglio procedere a una seconda visione molto diversa da essa.

 

Il risveglio condizionato dall’ubbidienza

Secondo questa seconda concezione, la presenza o l’assenza del risveglio è subordinata all’ubbidienza della chiesa e al comportamento dei cristiani. Talvolta, si aggiunge che il risveglio potrebbe essere permanente e continuo, ma non è così e il motivo è che non riusciamo a fare quello che Dio ci comanda. Per chiarire, possiamo suddividere ulteriormente questa concezione.

 

  1. Alcuni credono che il risveglio possa essere assicurato da un intenso sforzo evangelistico fatto in preghiera. Secondo loro, Dio ci ha dato i mezzi per evangelizzare il mondo e se siamo fedeli, se evangelizziamo, predichiamo e preghiamo, è inevitabile che ci sia il risveglio. Charles G. Finney è il più noto sostenitore di questa posizione che espone in modo completo in Risvegli religiosi. Lui sosteneva: “Un risveglio è un risultato tanto naturale dell’impiego dei mezzi appropriati quanto lo è un raccolto dell’impiego dei suoi mezzi appropriati”; e se si continuassero a usare i mezzi giusti, “il risveglio non cesserebbe mai”.
  2. Probabilmente, è più comune l’opinione di quanti non pongono l’accento tanto sull’evangelizzazione quanto sulla necessità del ravvedimento e di una rinnovata santità personale come mezzi per portare il risveglio. Uno dei principali fautori di questa tesi agli inizi del secolo scorso fu Jonathan Goforth, un missionario in Cina, il quale scrisse:

 

Se Dio Spirito Santo non glorifica Gesù Cristo nel mondo di oggi, come a Pentecoste, siamo semplicemente noi quelli da biasimare. Dopotutto, che cos’è il risveglio se non semplicemente lo Spirito Santo che controlla appieno la vita arresa? Quindi, dev’essere sempre possibile quando l’uomo si arrende. Soltanto il peccato di non arresa può impedirci di sperimentare il risveglio […] La Pentecoste è ancora a portata di mano. Se il risveglio ci viene negato, è perché restano ancora alcuni idoli sul trono.

 

Pentecoste

Tematiche: I nostri libri, Risveglio spirituale, Spirito Santo

Iain H. Murray

Iain H. Murray

 

Nato nel Lancashire (Inghilterra) nel 1931 e laureatosi all’Università di Durham, Iain H. Murray è entrato nel ministero cristiano nel 1955. Ha prestato servizio come assistente del dott. Martyn Lloyd-Jones alla Westminster Chapel (1956 -59) e successivamente presso la Grove Chapel di Londra (1961 -69) e la Chiesa Presbiteriana di St. Giles a Sydney (1981 -84). Pur restando ministro della Chiesa Presbiteriana di Australia, Murray vive attualmente a Edimburgo (Scozia) dove la The Banner of Truth Trust ha gli uffici generali, di cui è tra i fondatori e membro del consiglio d’amministrazione.

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