Come abbiamo avuto la Bibbia (parte 2)

 

LA GRANDE STORIA DELLE SACRE SCRITTURE

Questa è la seconda parte di un articolo. Puoi leggere la prima parte qui.

 

La tradizione diventa Scrittura  

Gli apostoli avevano un ministero e un’autorità speciale. Le tradizioni che avevano insegnato e le lettere che avevano scritto, unite alla loro presenza fisica, contenevano tutta la guida di cui le chiese avevano bisogno. Tuttavia, gli apostoli non sarebbero stati in giro per sempre (Giovanni 21:22-23) e si domandarono se le tradizioni che avevano insegnato sarebbero state ricordate “proprio come le avevano trasmesse”. In 2 Pietro 1:15, Pietro condivide che questa considerazione era una vera preoccupazione. Questo ci porta alle fasi finali della formazione del Nuovo Testamento: la scrittura dei Vangeli.

 

Luca conosceva molti altri che avevano tentato di scrivere un vangelo (Luca 1:1). Allo stesso modo, Giovanni scrisse la sua testimonianza dopo averne predicato il contenuto per lungo tempo. Egli ebbe il vantaggio di guardare a ritroso e di poter selezionare quelle parti della storia che sono sufficienti per una conoscenza salvifica di Gesù (Giovanni 20:30-31). Per ognuno dei quattro Vangeli, la chiesa ha mantenuto la tradizione collegandoli all’autorità apostolica sia direttamente (Matteo, Giovanni) che indirettamente (Marco da Pietro, Luca da Paolo).

 

L’accesso nella nuova alleanza rimaneva un’opera interiore, la parola di Dio scritta sui cuori dallo Spirito Santo. Eppure, i racconti scritti della vita e del ministero di Gesù e l’insegnamento di come la sua salvezza plasma la vita del suo popolo, erano ora affidati alla carta e all’inchiostro, a volte quasi con esitazione (2 Giovanni 12), ma nella speranza che gli scritti apostolici fossero sufficienti a rendere completa la nostra gioia (1 Giovanni 1:4).

 

Questo passaggio dalle tradizioni ricordate alle testimonianze scritte si riflette nelle lettere di Paolo. Come abbiamo visto, Paolo loda i Corinzi per aver mantenuto le tradizioni come le aveva egli stesso trasmesse. Più tardi, però, in 1 Timoteo 5:18, Paolo introduce una doppia citazione con la frase “infatti la Scrittura dice”. La prima, “Non mettere la museruola al bue che trebbia“, proviene da Deuteronomio 25:4. La seconda citazione dalla Scrittura è “l’operaio è degno del suo salario“. Queste parole esatte si trovano solo in Luca 10:7, con un parallelo meno esatto in Matteo 10:10. Pertanto, al tempo in cui 1 Timoteo fu scritta, la tradizione evangelica, come scritta da Luca, fu usata e approvata da Paolo come Scrittura. (In alternativa, è possibile leggere “infatti la Scrittura dice” come se riguardasse solo la prima delle due citazioni, ma questa lettura è un po’ forzata: la lettura più naturale è quella di applicare la frase ad entrambe le citazioni).

 

Le implicazioni di 1 Timoteo 5:18 e il suo uso di Luca sono notevoli. Come in 1 Corinzi 11, anche in questo caso abbiamo un legame tra la predicazione di Paolo e il Vangelo di Luca. Inoltre, anche se Paolo deve aver insegnato il contenuto di Luca 10:7 come parte della “tradizione di Gesù”, decide di fare appello alla forma scritta, il Vangelo, e così facendo Paolo segnala che c’è stato un passaggio dalla tradizione orale alla forma scritta. La Scrittura ora include il Vangelo e fa parte di tutte le Scritture che sono ispirate da Dio (2 Timoteo 3:16). Inoltre, l’uso di Luca in 1 Timoteo sembra indicare che i Vangeli sono stati scritti prima piuttosto che dopo, e soprattutto prima della caduta di Gerusalemme nel 70 d.C.

 

Le Scritture copiate e tradotte 

Quando il tempo degli apostoli giunse al termine, anche la rivelazione scritturale fu completata. A causa dell’ampio riconoscimento dato agli apostoli, ai fratelli di Gesù (Giacomo, Giuda; vedere anche 1 Corinzi 9:5) e a coloro che annotavano, il loro insegnamento fu ritenuto un dono speciale per la chiesa, quindi i loro scritti furono giustamente accettati come parola di Dio, così come lo era l’Antico Testamento. Ci sono alcuni indizi che indicano che alcuni ricordi del tempo della predicazione della prima generazione durarono fino alla seconda metà del secondo secolo, ma sempre più spesso gli scritti del Nuovo Testamento divennero l’unico legame autorevole con gli apostoli. In assenza di una rivelazione speciale, la nostra conoscenza di ciò che è accaduto nella trasmissione del testo del Nuovo Testamento dopo il suo completamento, può essere dedotta solo dalle testimonianze manoscritte sopravvissute e da quanto detto dai Padri della chiesa.

 

Alcune cose erano cambiate rispetto alla situazione della vecchia alleanza. Non c’era più un santuario centrale. Gli apostoli formarono i pilastri figurativi del tempio spirituale che è la chiesa, ma dopo la loro scomparsa non c’era una posizione centrale autorevole che potesse funzionare come il tempio di Gerusalemme. Gerusalemme funzionava come il centro dove si potevano ottenere copie approvate delle Scritture (vedi Atti 8:27-28). Eppure, la chiesa primitiva era diffusa in tutto l’Impero Romano e oltre, e ovunque le Scritture venivano copiate. Si dice che in questi primi secoli nessuna chiesa sosteneva di avere una lettera o un Vangelo originale in suo possesso, anche se è chiaro che tali originali devono essere stati inviati a un certo punto.

 

Manoscritti a confronto

Le Bibbie stampate esistono da poco più di cinquecento anni. Nei secoli precedenti (1.400 anni per il Nuovo Testamento e molto di più per l’Antico), l’originale ebraico e il greco sono stati copiati a mano. Per chi è abituato alla cultura della stampa, l’idea che una copia non sia necessariamente identica all’originale è un po’ inquietante. Eppure, per la Chiesa primitiva, questo faceva parte della realtà quotidiana. Abbiamo esempi di Padri della chiesa di ogni secolo che hanno discusso le differenze testuali che esistevano tra i manoscritti.

 

È importante distinguere tra la trasmissione del testo dell’Antico Testamento ebraico e quella del Nuovo Testamento greco. Molto presto nella storia della Chiesa, il testo principale usato per l’Antico Testamento era una traduzione greca o latina (o ulteriori traduzioni fatte da queste versioni). La trasmissione del testo ebraico avveniva in circoli rabbinici. Il testo masoretico del Medioevo riflette il testo conservato nel tempio in modo molto dettagliato e registra con precisione non solo la pronuncia del testo, ma anche le differenze che esistevano tra le pergamene maggiori conservate nel tempio prima della sua distruzione.

 

Come abbiamo visto, il Nuovo Testamento greco non risale a un testo del tempio o a un unico luogo centrale. Inoltre, i manoscritti del Nuovo Testamento differiscono nelle parole del testo. A volte si tratta di grandi differenze, a volte piccole. Già alla fine del secondo secolo, il Padre della chiesa Ireneo, discusse la questione di alcuni manoscritti dell’Apocalisse dove il numero della bestia era 616 anziché 666. Queste discussioni ci danno un’idea di come si affrontava il problema delle differenze del testo all’epoca. Un argomento importante per Ireneo era che 666 era usato nei manoscritti “più antichi e approvati” (anche se “più antichi” non poteva significare più di 100-120 anni circa). Il termine “approvato” suggerisce che, già alla fine del secondo secolo, alcuni luoghi o alcune chiese erano in possesso di manoscritti con funzione normativa. Ma la maggior parte di questi manoscritti normativi si è deteriorata a causa dell’età o di una distruzione violenta. Che tipo di manoscritti ci sono rimasti?

 

Ci sono circa quattrocento manoscritti che provengono da prima della grande transizione della scrittura greca dalle singole lettere maiuscole a una scrittura in corsivo nel IX secolo (rispettivamente scrittura maiuscola e minuscola). La maggior parte di questi manoscritti sono incompleti o addirittura frammentari. I tre manoscritti che spesso risalgono al secondo secolo sono tutti singoli frammenti di una singola pagina di uno dei Vangeli. Avremmo bisogno di centinaia di questi per formare un libro completo. Tuttavia, abbiamo manoscritti più estesi. Nel IV e V secolo abbiamo anche manoscritti che hanno un Nuovo Testamento in greco quasi completo. Ciò che comprendiamo da questi manoscritti è che nei primi secoli le copie non sempre furono fatte con molta attenzione, al punto che a volte ci si chiede se alcuni di questi manoscritti siano stati scritti a memoria piuttosto che trascritti da una copia originale esistente. Quello che apprendiamo è anche che la stragrande maggioranza delle differenze sono facilmente risolvibili perché si tratta di errori evidenti. I problemi più difficili richiedono una riflessione più approfondita.

 

Certamente aiuta il fatto che abbiamo così tanti manoscritti e quindi ora possiamo cercare il tipo di cosa che può andare storto (e anche il tipo di errore che raramente viene fatto). Quindi è molto più comune rendere la formulazione di un Vangelo simile a quella di un altro, piuttosto che fare il contrario. Per esempio, Luca tende ad abbreviare le citazioni dell’Antico Testamento, mentre Matteo ne dà la versione più lunga. Di conseguenza, i manoscritti successivi di Luca hanno spesso citazioni ampliate che assomigliano alle versioni più lunghe che si trovano in Matteo.

 

Le discussioni dei Padri della chiesa su alcune delle differenze testuali dimostrano che la maggior parte delle differenze importanti sono state discusse negli ultimi sedici o diciassette secoli. Dimostra anche che l’esistenza di tali differenze non è mai stata una ragione per rinunciare alla fiducia nelle Scritture.

 

Valutazione delle varianti

Sembra esserci una tensione tra Dio che preserva la sua parola e l’esistenza di differenze tra i manoscritti. Come possiamo fidarci delle nostre Bibbie italiane se sono il risultato del confronto tra manoscritti che hanno, in alcuni punti, una diversa formulazione della Scrittura?

 

In primo luogo, l’esistenza di varianti testuali spesso fa poca o nessuna differenza rispetto al significato più ampio del testo. Per esempio, in Romani 1:1, ci si chiede se Paolo abbia scritto “servo di Gesù Cristo” o “servo di Cristo Gesù”. Se qualcuno fosse specializzato in particolari dettagli del linguaggio di Paolo, potrebbe essere molto interessato a risolvere il problema. Tuttavia, su una scala più ampia, diciamo che se guardiamo a Romani 1:1-7 nel suo insieme, la questione non ha alcun effetto sulla nostra comprensione di ciò che sta succedendo. In generale, questo vale per tutto ciò che c’entra con la comunicazione: siamo in grado di far fronte al rumore nella stanza e di capire perfettamente ciò che il nostro interlocutore dice.

 

In secondo luogo, di tutte le varianti testuali esistenti, la maggior parte può essere risolta con relativa facilità. È chiaro come è nato l’errore e perché è riuscito a sopravvivere nella trasmissione testuale.

 

Tradurre la Parola di Dio

L’ultimo passo di questo lungo percorso, dal momento in cui Dio ha ispirato la sua parola per la lettura della sua Parola, è quello della traduzione. La traduzione non è facile. Una lingua (l’inglese, per esempio) tende a usare la grammatica e la sintassi in modo diverso dall’ebraico o dal greco, che sono anch’esse lingue molto diverse tra loro. È bene rendersi conto che ogni traduzione ha fatto delle scelte su quali caratteristiche dell’originale rappresentare e quali tralasciare. Per esempio, è tradizionale rappresentare il nome greco Iakobos (la forma greca del nome dell’Antico Testamento Giacobbe) con Giacomo, e di conseguenza si perde qualcosa della sensazione di questo nome (Iakobos scrive la sua lettera “alle 12 tribù” [Giacomo 1:1]!)

 

Anche a livello di frase un traduttore deve fare scelte difficili. Come si presenta il focus in italiano di una frase in greco che utilizza tecniche diverse per mostrare la parte prominente? Come rappresentiamo la ripetizione della stessa parola ma usata in diverse sfumature di significato? In che misura la traduzione è destinata ad essere compresa la prima volta che la si ascolta, e in che misura ci si aspetta che il lettore faccia un notevole sforzo per scavare più a fondo nel testo? E come si presentano alcune delle questioni più importanti nei diversi manoscritti? Le ignoriamo e scegliamo solo un testo da tradurre o aggiungiamo occasionalmente una nota a piè di pagina? Le traduzioni devono fare scelte difficili e le diverse traduzioni fanno scelte diverse.

 

Come possiamo fidarci delle nostre traduzioni se una singola traduzione non può darci la piena gloria dell’originale? Potremmo cadere nella trappola di pensare che, poiché non abbiamo tutta la conoscenza e l’intuizione di ciò che Dio ha detto esattamente, non possediamo nulla.

 

Eppure, non dovremmo essere risucchiati in una tale falsa opposizione. È importante distinguere attentamente due parole diverse: essere precisi ed essere esaustivi. Per esempio, se guardiamo una mappa che ci dà solo le capitali di ogni stato, possiamo imparare molto. Questa mappa può essere di grande utilità per imparare la conformazione del territorio. È accurata, ma non esaustiva; c’è molto altro da dire. Abbiamo bisogno di una mappa con più informazioni quando pianifichiamo un viaggio in auto, anch’essa precisa ma con più informazioni. E pensate anche alla diversa mappa di cui abbiamo bisogno quando ci prepariamo per una lunga escursione; una mappa stradale non ci porterà molto lontano. Ognuna di queste mappe è accurata, ma ognuna dà anche un diverso livello di dettaglio.

 

Una buona traduzione renderà la Scrittura in lingua originale accuratamente tradotta in italiano, e quindi verrà reputata la parola di Dio, capace di insegnare, di riprendere, di correggere e di edificare la chiesa. Ma il livello di dettaglio sarà diverso da una traduzione all’altra e sarà di nuovo diverso quando leggeremo le Scritture nelle lingue originali.

 

Per quasi tutti gli scopi, le nostre traduzioni ci danno tutto ciò di cui abbiamo bisogno per studiare le parole di Dio e per incontrarlo nella sua Parola. Eppure, è bene sapere che molti dei nostri pastori e altri studiosi leggono la Scrittura anche in greco e in ebraico, poiché ciò li aiuta a comprendere la parola di Dio in modo più preciso. È come se stessero zoomando con un obbiettivo e una risoluzione più elevati. Come abbiamo visto, a volte le circostanze ci impediscono di zoomare quanto vorremmo. Questo accade quando ci sono ancora dei problemi nell’ interpretazione degli originali greci ed ebraici. Possiamo vedere la conformazione del terreno, ma i dettagli sono meno chiari. Anche in questo caso, questi problemi testuali sono per lo più minimi, e nessuno di essi influenza ciò che la Scrittura insegna nel suo insieme.

 

La Parola nella Parola

La storia di come la Bibbia è nata è in gran parte raccontata nella Bibbia stessa. Forse vorremmo sapere cose che non sono rivelate ma ci sono dei limiti alla nostra conoscenza. Eppure, la Bibbia è la rivelazione di Dio che ci racconta in grande dettaglio tutta la storia della salvezza, della venuta del Messia, della sua morte e risurrezione, e della grande speranza di gloria che si rivela nel Verbo che si è fatto carne, il Signore Gesù Cristo. E questa parola è pienamente affidabile.

 

 

 

Traduzione a cura di Davide Ibrahim

 

Tematiche: Bibbia

Dirk Jongkind

Dirk Jongkind 

 

E’ il vicedirettore accademico e ricercatore senior in testi e lingue del Nuovo Testamento presso la Tyndale House di Cambridge. È anche l’autore di “An Introduction to the Greek New Testament”.

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