Chi si riunisce?

 

 

La cena è una cosa molto importante nella mia famiglia. È il momento principale della giornata, quando smettiamo di lavorare, di fare faccende, di fare esercitazioni di danza e di disegnare per concentrarci gli uni sugli altri. All’apparenza, il nostro pasto serale assomiglia probabilmente a quello di milioni di famiglie. Se ci guardassi attentamente però, osserveresti alcune cose distinguibili che ci rendono “I Merker”, quali, ad esempio, la preghiera di ringraziamento a Dio prima di ogni pasto, la pasta buonissima che mia moglie, essendo italo-americana, cucina spesso e che mangiamo volentieri, le nostre battutine, le regole tacite, le tradizioni di famiglia e le nostre buffonate. Quello che siamo come famiglia influenza quello che facciamo. Poi, quello che facciamo quando ci riuniamo a tavola modella quello che siamo. Il nostro pasto deriva da e rinforza la nostra identità di famiglia.

 

 

 

Chi si riunisce?

La situazione è differente, però, quando ceno da solo. Se gli altri membri della famiglia sono malati o sono partiti per un viaggio, certamente consumo gli stessi nutrienti mentre guardo la televisione e ascolto musica ad alto volume. Ci sono meno piatti e meno cibo da pulire, ma – ed è un “ma” importante – non ne traggo la medesima soddisfazione. Il pasto mi ha forse riempito la pancia, ma non mi ha legato alle persone che amo di più. Tramite questo libro spero di dimostrare che adorare Dio è un po’ come la cena in famiglia. È una cosa essenzialmente comunitaria.

Come cristiani siamo chiamati a offrire per intero le nostre vite come sacrifici viventi (Rom. 12:1), ma quando ci riuniamo, qualcosa di unico accade: godiamo di Cristo, esaltiamo Dio e ci edifichiamo gli uni gli altri come Suo popolo della promessa. Il tutto vale di più della somma delle singole parti. La natura della chiesa modella l’adorazione comunitaria.

L’adorazione, a sua volta, forma e rinforza la nostra identità collettiva. Quindi, per capire cosa sia l’adorazione, dobbiamo comprendere la chiesa locale. Tante conversazioni sull’adorazione si concentrano su questioni relative al come. Come dobbiamo contestualizzare? Che tipo di musica dovremmo avere? L’organo o la rock band? Che volume dovrebbero avere gli altoparlanti? Queste non sono domande irrilevanti, ma se diventano il punto centrale, perdiamo qualcosa di molto cruciale. La domanda più essenziale è quella che si concentra sul chi: chi adora? La nostra ecclesiologia (dottrina della chiesa) e la nostra dossologia (dottrina dell’adorazione) si modellano e si rinforzano a vicenda. Così come per i pasti in famiglia, quello che siamo come chiesa influenza le nostre riunioni e le nostre riunioni plasmano chi siamo.

La natura comiunitaria della salvezza

Dio si è sempre relazionato al suo popolo non solo individualmente, ma anche collettivamente. In Genesi egli chiama sia Abramo sia la sua famiglia. In Esodo egli salva questa famiglia, Israele, e la fa diventare “un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es. 19:6). Cosa fanno i sacerdoti? Adorano. Essi fanno da mediatori tra il popolo e Dio e consacrano ciò che è santo. Avendo chiamato tutto il popolo “un regno di sacerdoti”, Dio affida loro una missione sacerdotale: essere un popolo che adora, che intercede e si consacra.

Il resto dell’Antico Testamento racconta la storia di questo popolo consacrato per la gloria di Dio. Sebbene Dio avesse reso ogni israelita responsabile per il proprio peccato (Ez. 18:1-20), Egli ha trattato Israele come un popolo unito dal suo patto.

Non fu una sorpresa, quindi, che quando Gesù entrò in scena, egli evidenziò la natura comunitaria del popolo che venne a salvare. Egli disse: “Edificherò la mia chiesa” (Mat. 16:18), “Dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome” (Mat. 18:20). Paolo afferma che Gesù “è morto per noi” (Rom. 5:8; 1 Tess. 5:10) e che Cristo “ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei” (Ef. 5:25). Il capitolo 3 della Lettera agli Efesini è uno dei passaggi delle Scritture dove è più chiaramente rimarcata la natura comunitaria della nostra salvezza. I versetti dal 1 al 10 descrivono come Dio, per grazia, doni nuova vita a coloro che credono in Gesù. Egli ci riconcilia con Lui verticalmente.

I versetti dal 11 al 22, però, ci raccontano l’altra metà della storia che riguarda una riconciliazione orizzontale. Non solo eravamo morti nel peccato e meritavamo la giusta condanna di Dio, ma eravamo anche “lontani”, “estranei” ai patti della promessa di Dio (vv. 12-13). La buona notizia? “Ma ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete stati avvicinati per mezzo del sangue di Cristo”.

 

Il risultato nel versetto 19 è collettivo: “Voi, dunque, non siete più forestieri, né ospiti, ma concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio”.

Un peccatore che si pente e confida in Cristo non solo è nato di nuovo, egli è nato in una nuova famiglia. La dimensione orizzontale segue quella verticale. Pietro c’insegna la stessa cosa. Egli rende la ricezione della grazia di Dio parallela con il diventare un popolo, come vediamo quando reimpostiamo il verso in stile poetico: Voi, che un tempo non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia. (1 Pt. 2:10) Le due cose accadono insieme.

Questo popolo, questa famiglia, diventa visibile oggi nelle chiese locali. Sebbene tutti i credenti di tutte le epoche appartengano “all’assemblea” celeste della chiesa universale (Eb. 12:23), Gesù ha stabilito la chiesa locale per mostrare al mondo chi siano i suoi adoratori. Questo dovrebbe portarci a chiederci: cos’è una chiesa? I primi riformatori protestanti hanno risposto a questa domanda definendo la chiesa come una congregazione riunita per la predicazione del vangelo e l’amministrazione del battesimo e della santa cena. I primi battisti hanno evidenziato un “mutuo accordo” o patto tra coloro che si riunivano. Ecco come la riassumerei io: la chiesa locale è un’assemblea di adoratori comprati col sangue, riempiti di Spirito che si edificano a vicenda attraverso la Parola di Dio e confermano la comune appartenenza come cittadini del regno di Cristo attraverso i sacramenti.

Ciò significa che essere un cristiano, un adoratore di Dio, comporti l’identificarsi con il popolo adoratore di Dio. Sei stato adottato nella Sua famiglia, quindi, quando ti siedi alla mensa dell’adorazione comunitaria, non lo stai facendo da solo. Siccome la salvezza è comunitaria allora anche l’adorazione lo è.

 

Ritratti della chiesa

Qual è quindi la visione biblica per la chiesa e quale impatto ha essa sulla nostra comprensione dell’adorazione comunitaria? Consideriamo ora tre illustrazioni bibliche per la chiesa.

 

 – Un avamposto del regno dei cieli

Innanzitutto, la chiesa locale è un avamposto del regno dei cieli. Questa illustrazione c’insegna che la nostra adorazione collettiva debba mostrare quanto siamo distinti dal mondo. Una volta sono andato in bicicletta fino allo stadio RFK di Washington DC, durante una partita di calcio. Una delle due squadre proveniva dall’Honduras e centinaia di suoi tifosi riempivano il parcheggio fuori dallo stadio. Le bandiere sventolavano, la musica era a volume altissimo e la carne sfrigolava sulla griglia. Non era un accampamento ufficiale, ma lo sembrava: un bel gruppo distinto di persone su un suolo straniero. Mi sentii sia forestiero sia attratto dal loro raduno. Volevo saperne di più sulla loro cultura (e sul loro cibo!). Similmente, un incontro di chiesa è un raduno di “forestieri” che appartengono allo stesso paese celeste (1 Pt. 1:1). Nella mia chiesa ci sono persone provenienti dagli Stati Uniti, dal Brasile, dalla Cina, dalla Repubblica Dominicana e altro ancora. Tuttavia, il Nuovo Testamento dice che siamo fondamentalmente “concittadini” (Ef. 2:19) del popolo santo di Cristo (1 Pt. 2:9).

 

Nell’Antico Testamento, Israele servì come avamposto della legge di Dio. Oggi, la chiesa occupa questo ruolo. Noi siamo gli ambasciatori di Cristo (2 Cor. 5:20). Egli s’identifica con noi quando ci riuniamo nel suo nome (Mat. 18:20). La chiesa locale è una collezione di ex emarginati che il Re ha giustificato, ha portato sotto il suo dominio e a cui ha dato la forza di seguire la Sua legge di giustizia e amore. Questo significa che la chiesa è un’anteprima della nuova creazione, una “macchina del tempo del futuro”.

Se vogliamo vedere che aspetto avrà la società dei redenti nei nuovi cieli e nella nuova terra, ci basta guardare una qualsiasi vera chiesa. Visita, per esempio, la chiesa in casa del mio amico Joshua in Cina, la Chiesa Battista Faith in Kitwe, Zambia oppure St. Helen’s Bishopsgate, una chiesa anglicana evangelica a Londra. Una chiesa è come un trailer cinematografico – malgrado sia piena di difetti e imperfezioni – che ci mostra come sarà il regno di Dio sulla terra nell’ultimo giorno.

Cosa significa questo per l’adorazione comunitaria?

Ecco diverse implicazioni:

 

  • Ci riuniamo come ambasciatori, e non come consumatori. Lo scopo degli incontri non è d’intrattenere o fornire un’esperienza stimolante, bensì di onorare il nostro Re e farlo conoscere al mondo.

 

  • Non “andiamo in chiesa” per adorare; adoriamo perché siamo la chiesa. Se consideriamo la chiesa solo come un evento a cui partecipare, è molto probabile che cadiamo in una mentalità egocentrica. Valuteremo il culto sulla base di come ci ha servito. Eppure, i versetti che abbiamo considerato ci mostrano che appartenere a una chiesa locale sia parte integrante della vita cristiana. Ci riuniamo perché è quello che siamo. Quando adoriamo, rappresentiamo – rendiamo visibile nello spazio e nel tempo – la nostra identità collettiva.

 

  • Tutto quello che facciamo nell’adorazione dovrebbe sottomettersi alle Scritture. Gli ambasciatori non stabiliscono le politiche del governo. Essi le applicano. Similmente, non dobbiamo scrivere un copione per quello che dobbiamo fare in un incontro di chiesa. Ubbidiamo agli ordini che il nostro Re ci ha dato nella sua Parola.

 

  • Una riunione di adorazione è dove dichiariamo i giudizi del cielo. Così come gli ambasciatori parlano per conto del loro Paese, la chiesa fa da portavoce per il regno di Dio. Questo non vale solo per la predicazione. Quando confessiamo i nostri peccati nella preghiera comune, comunichiamo al mondo che acconsentiamo al verdetto di Dio contro di noi. Quando cantiamo un canto di lode, comunichiamo al mondo che concordiamo con il Padre che si compiace nel Figlio.

 

  • Quando adoriamo, riflettiamo la cultura del regno di Dio. La chiesa va controcorrente. I suoi incontri d’adorazione dovrebbero fare lo stesso. Dopotutto, i nostri incontri sono come una riunione di forestieri su un suolo straniero. Dichiariamo il nostro giuramento di alleanza nella confessione di fede. Cantiamo il nostro inno nazionale attraverso gli inni e i cantici. Insegniamo la nostra costituzione attraverso la predicazione della Parola. Emettiamo passaporti (cioè, identifichiamo i credenti come appartenenti al regno di Cristo) quando battezziamo e pregustiamo la nostra futura festa nazionale quando prendiamo la santa cena. Attraverso tutto questo, “perturbiamo” la cultura prevalente dei nostri giorni e istruiamo credenti nella cultura del Re.

 

  • I nostri incontri dovrebbero essere uno strumento di evangelizzazione. Sebbene non dobbiamo imbandire i nostri culti per soddisfare i capricci dei non credenti, dovremmo pregare affinché essi li frequentino (1 Cor. 14:24). L’assemblea dovrebbe segnalare – e persino comandare – ai cittadini del regno delle tenebre di passare al regno della luce: “…noi vi esortiamo per amore di Cristo: siate riconciliati con Dio” (2 Cor. 5:20). Per riassumere: siccome la chiesa è un’anticipazione della nuova Gerusalemme, la nostra adorazione dovrebbe mostrare la nostra distinta nazionalità ed emanare il piacevole aroma del cielo; dovrebbe incentrarsi su Gesù, il Re celeste; dovrebbe impersonificare le priorità del regno. Così facendo, Dio ci modellerà per fare di noi dei sudditi più fedeli sotto il suo comando.

 

 – Un Tempio Santo

In secondo luogo, la chiesa locale è un tempio santo. Qual è l’insegnamento che dobbiamo trarre? Nella nostra adorazione godiamo di comunione diretta con Dio e con gli altri. Dio è certamente onnipresente. Egli è ovunque (1 Re 8:27; Sl. 139:7-10). Tuttavia, in ogni fase della narrativa biblica, Dio manifesta la sua presenza tra il suo popolo in modo speciale. Egli ha fatto questo inizialmente nel giardino dell’Eden, il tempio terrestre originale, in seguito nel tabernacolo nel deserto, successivamente nel tempio di Israele, poi nel tempio più perfetto, suo Figlio, e infine in tutti coloro che sono uniti in suo Figlio.

Paolo afferma che ogni nostro corpo è un tempio dello Spirito Santo (1 Cor. 6:19), ma egli c’insegna anche che siamo quel tempio collettivamente: “Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1 Cor. 3:16; vedi anche Ef 2:22; 1 Pt. 2:5).

Pensa un po’! Dio si è compiaciuto di manifestare la sua presenza speciale nella chiesa imperfetta e caotica del Nuovo Testamento. Incredibilmente, Egli fa la stessa cosa oggi tra di noi. Ero uno studente di musica al college. Un giorno la segreteria ci mandò una e-mail avvisandoci che ci sarebbe stata una “prova aperta” e agli studenti di musica era permesso assistervi. Chi stava provando? Oh, nessuno di importante: erano solo Béla Fleck (uno dei migliori suonatori di banjo al mondo) e Edgar Meyer (uno tra i migliori bassisti al mondo). Tutti ci affrettammo a raggiungere la sala prove per sentire questi giganti della musica. L’atmosfera era totalmente diversa dal solito. Invece del caos lasciato dalle custodie, dagli spartiti e dagli zaini, trovammo una fila di sedie ordinata. Invece delle chiacchere rumorose, aspettammo in silenzio.

Perché? Per la presenza dell’eccellenza. La loro presenza ebbe effetto anche sulle nostre relazioni. “Sei anche tu un fan?”, si chiedevano a vicenda gli studenti. Le rivalità inutili scomparvero mentre l’atmosfera si fece più festosa. Per due ore, tutti fummo migliori amici, uniti dalla presenza di due figure che veneravamo. Quando la chiesa si riunisce, si è in presenza di qualcuno molto più grande di qualsiasi musicista. Come le prove a cui ho partecipato, la presenza dell’Eccellenza trasforma le relazioni di coloro che sono lì presenti. Le persone guidate dallo Spirito mettono da parte le loro differenze carnali per adorare insieme come una famiglia, “con una sola bocca” (Rom. 15:6).

Quali implicazioni ha questo per l’adorazione comunitaria? Possiamo trarre diversi insegnamenti:

 

  • Il luogo dimorante di Dio ha una forma comunitaria. Se vogliamo entrare alla presenza di Dio quando veniamo in chiesa, dovremmo aspettarci di trovarla in ognuno di noi e tra di noi, invece che nei nostri sentimenti personali e nelle nostre intuizioni. L’incontro di chiesa non è il momento del nostro “tempo personale” con Dio. È il posto per incontrare Dio, riunendosi con la sua gente ripiena di Spirito.

 

  • L’adorazione comunitaria non deve mai essere anonima. Essendo la chiesa il tempio di Dio, l’assemblea è per forza di cose un affare comune. A differenza di quando si va al cinema, dove cerchiamo d’ignorare chi ci sta vicino, in chiesa ci si saluta calorosamente perché condividiamo lo stesso Spirito. Sentiamo le voci dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che conosciamo per nome, mentre preghiere, canzoni e versi della Parola risuonano attorno a noi. Invece che svignarcela durante l’ultimo cantico, fermiamoci ad avere comunione. Coloro che il mondo divide per etnia, classe o nazionalità, sono uniti insieme da un santo bacio (Rom. 16:16) o da un santo abbraccio, almeno!

 

  • L’adorazione comunitaria è un ministero sacerdotale verso gli altri credenti. Pietro scrive: “Anche voi, come pietre viventi, siete edificati per essere una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt. 2:5). Quando ci riuniamo per adorare, tutti abbiamo un ruolo sacerdotale. Offriamo due tipi di sacrificio: lode a Dio (Eb. 13:15) e buone opere per benedire il popolo di Dio (Eb. 13:16). Quando ci raduniamo ministriamo sia verticalmente, al Signore, sia orizzontalmente, gli uni agli altri.

 

  • La vera “azione” accade tra la gente, non davanti alla gente.

Dovremmo essere grati per chiunque Dio equipaggia al servizio nelle nostre riunioni pubbliche. Essi sono sacerdoti ripieni dello Spirito, ma lo siamo anche noi. Temo che troppo spesso gli evangelici vedano la chiesa come un posto dove l’adorazione su un “palco” ci debba travolgere come un campo di forza emotivo.

 

È come se volessimo emulare un concerto o ricercassimo l’esperienza di una messa della chiesa cattolica, dove la grazia sacramentale si riversa dall’altare attraverso i preti. Eppure, non è così che dovremmo vedere i nostri incontri. Poiché siamo il tempio di Dio, come membri godiamo già dell’unione con Cristo e con gli altri nello Spirito. I banchi della chiesa sono il vero palco. Siamo un regno di sacerdoti che offrono lode a Dio, attraverso la sola mediazione di Cristo. Nella nostra adorazione collettiva, godiamo della comunione con Dio e con gli altri e quando adoriamo, lo Spirito di Dio ci forma ulteriormente come sacerdoti che servono Lui e gli altri con gioia.

 

– Il corpo di Cristo

Quante volte la nostra mente divaga e veniamo in chiesa giù di morale e con occhi stanchi! Una domenica alzai lo sguardo mentre si cominciava a cantare.

Dall’altra parte della sala vidi il mio amico Geremia. Benché stesse cantando a Dio, lo stava facendo in un modo tale che sembrava che stesse cantando… anche a me e probabilmente anche a tutti gli altri. Non era forzato o falso. Egli semplicemente cantava in un modo che invitava gli altri a unirsi a lui: Quando Satana mi tenta a disperare E mi ricorda delle mie colpe Io guardo in alto e vedo Lui Che ha posto fine al mio peccato.9 Incredibilmente e sorprendentemente il Signore aveva usato l’espressione facciale di Geremia per imprimere la verità di quel canto nel mio cuore. Così cominciai a cantare. Questo ci porta al nostro terzo ritratto. La chiesa locale è il corpo di Cristo. L’insegnamento di questa illustrazione è che nella nostra adorazione dovremmo puntare all’edificazione reciproca che risulti nell’unità. In un certo senso, il “corpo” di Cristo è la chiesa universale nello spazio e nel tempo (es. Ef. 1:22-23). Però c’è un altro senso attraverso cui la chiesa impersonifica Cristo sulla terra.

 

Una chiesa è composta da coloro che sono uniti a Cristo per fede e sono, quindi, uniti anche tra di loro, con a capo Cristo, come Paolo dice alla chiesa di Corinto: “Or voi siete il corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per parte sua” (1 Cor. 12:27). Cosa fanno i corpi? Essi crescono, ricevono nutrimento, combattono le malattie. Ogni membro è una parte inestimabile del tutto (vedi 1 Cor. 12) e ogni parte collabora per “edificare” l’altra (Ef. 4:12).

 

Il termine edificazione compare più volte nella Prima lettera ai Corinzi, al capitolo 14, la descrizione più dettagliata nella Bibbia su quello che la chiesa deve fare quando si riunisce:

  • Versetto 5: “…perché chi profetizza è superiore a chi parla in lingue a meno che egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione”.
  • Versetto 12: “Così anche voi, poiché siete desiderosi di avere doni spirituali, cercate di abbondarne per l’edificazione della chiesa”.
  • Versetto 26: “Che conviene dunque fare, fratelli? Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi, chi un salmo, chi un insegnamento, chi parole in altra lingua, chi una rivelazione, chi un’interpretazione, si faccia ogni cosa per l’edificazione”. In sintesi, siccome la chiesa è il corpo di Cristo, l’edificazione dovrebbe essere al centro dell’incontro di chiesa.10 Cosa significa questo per l’adorazione comunitaria? • Ci raduniamo per edificare ed essere edificati. Un cristiano solitario è come un arto prostetico staccato. La nostra adorazione collettiva dovrebbe minare l’egocentrismo. Veniamo per essere edificati perché ne abbiamo disperatamente bisogno – così come ebbi bisogno dell’incoraggiamento di Geremia quel giorno. Allo stesso tempo, nella provvidenza di Dio, altri membri hanno bisogno che noi ci presentiamo e li edifichiamo. Siamo contemporaneamente dottori e pazienti dell’ospedale di Dio, ci fasciamo le ferite a vicenda e riceviamo le medicine di cui hanno bisogno le nostre anime.

    • L’adorazione comunitaria è discepolato. Dio chiama i membri a ministrarsi a vicenda dicendosi la verità con amore (Ef. 4:12-15). Spesso c’immaginiamo che questo accada nei piccoli gruppi di studio della Parola, discepolato individuale e comunione informale, ed è vero.
    L’incontro domenicale è, però, il contesto principale dove i credenti si dicono la verità con amore. Quando recitiamo un credo, leggiamo insieme ad alta voce la Bibbia, cantiamo un salmo o rispondiamo con un “amen” dopo una preghiera, non stiamo solo seguendo le istruzioni di chi guida l’incontro. Ci ammaestriamo a vicenda e edifichiamo il corpo nella maturità spirituale.

 

L’adorazione comunitaria dovrebbe sia riflettere sia contribuire all’unità della chiesa. Nella Prima lettera ai Corinzi 12, Paolo insegna che ogni membro è essenziale. Dio non solo ha dato diversi doni a ciascuno.

Egli vuole che mostriamo la sua potenza attraverso l’unità sovrannaturale di cui godiamo: “Ora noi tutti siamo stati battezzati in uno Spirito nel medesimo corpo, sia giudei che greci, sia schiavi che liberi, e siamo stati tutti abbeverati in un medesimo Spirito” (1 Cor. 12:13).

Questa unità si manifesterà in uno spirito di ospitalità: coloro che hanno più influenza e sono più privilegiati cercheranno opportunità per servire e accogliere coloro che sono oppressi o soffrono.

Questa unità sarà evidente anche quando i membri canteranno con gioia canti che non siano necessariamente nel loro stile preferito, perché sapranno che i canti portano conforto a fratelli o sorelle che sono più anziani o più giovani di loro o provengono da una cultura diversa.

Poiché la chiesa è il corpo di Cristo, adoriamo come un insieme unificato. La nostra adorazione a sua volta ci modellerà ulteriormente nel popolo maturo e unito che Cristo ci chiama ad essere.

 

 

Conclusione

Preferirei di gran lunga mangiare insieme alla mia famiglia che mangiare da solo. La nostra riunione attorno alla tavola è il posto dove esponiamo la nostra distinta identità collettiva. È dove abbiamo comunione gli uni con gli altri. È dove ci nutriamo e ci edifichiamo a vicenda per ottenere una maggiore unità. Come abbiamo visto, lo stesso vale per la chiesa locale. La nostra adorazione è una celebrazione. Cristo stesso ci ospita al Suo banchetto. Ci raduniamo in Suo onore per godere del cibo più delizioso. Egli si aspetta che ci riuniamo come una famiglia. Siamo l’avamposto del suo regno, il tempio del suo Spirito, il corpo che egli nutre per raggiungere la maturità…

 

 

Foto di Sandro Gonzalez su Unsplash

 

 

 

Questo articolo è un estratto del libro L’adorazione comunitaria, pubblicato da Coram Deo.

L’adorazione comunitaria

Tematiche: Adorazione, Cantare, Chiesa, Comunione, I nostri libri

Matt Merker

Matt Merker 

È aiuto pastore nella Chiesa Capitol Hill Baptist Church a Washington D.C., dove è responsabile della musica e della preparazione al servizio. La sua pagina Twitter è @MerkerMatt.

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