Caro Pastore, porta in chiesa la tua Bibbia cartacea!

 

Mi piace usare l’iPad. È, a mio avviso, una delle migliori invenzioni della tecnologia. In un unico dispositivo, leggero e portatile, l’utente ha tutto a portata di mano. Oltre alle tipiche app dei social che alla fine tutti abbiamo sui nostri smartphone, il tablet mette a disposizione anche un’infinita serie di utilities che lo rendono piuttosto simile ad un computer portatile se non addirittura ad una piccola TV.

Tuttavia, ritengo che questa tecnologia all’avanguardia, esplosa nel ventunesimo secolo, stia modificando in modo rapido e subdolo alcuni importanti, se non addirittura essenziali, aspetti del Cristianesimo. Prendiamo in esame un solo esempio: la crescente tendenza a sostituire la Bibbia cartacea, tangibile e visibile (ce la ricordiamo ancora? Quella che sfogliavamo leccando le dita per girare pagina) con un tablet che sale sul pulpito con noi.

Giusto per chiarire, non sono contrario ai predicatori che portano un tablet sul pulpito e che lo usano, ad esempio, per seguire i propri appunti durante il sermone. Mi preoccupa, invece, non vedere più la copia stampata della Bibbia salire sul pulpito. Mentre il pastore accede al pulpito per portare la Parola di Dio al Suo popolo, se non ha tra le mani nessuna copia stampata della Bibbia, non ci sarà nessun Libro Sacro ad occupare il posto più alto della chiesa. L’assemblea, di conseguenza, non avrà una conferma visibile di quello che dovrebbe essere il vero centro della predicazione. In compenso, l’assemblea vedrà un tablet. Sebbene questo possa sembrare un cambiamento abbastanza innocuo, io credo che contenga diversi potenziali rischi.

 

Un messaggio differente

Innanzitutto, un tablet che sostituisce una copia cartacea della Bibbia invia all’assemblea un messaggio completamente diverso. Certo, questo tablet contiene la versione digitale della Bibbia, ma, visivamente, esso rappresenta molto di più: è un’icona dei social media ed un “piatto ricco” di infinite vie di intrattenimento. Chiedete ai miei figli! Per loro, un iPad significa accesso immediato ad una o più puntate di Apriti Sesamo su Netflix. Per un adulto, il tablet significa una finestra diretta sulla propria vita sociale. Come sponsorizzato, iPad vuol dire calciomercato, Pinterest, iTunes e Booking.com… un iPad consente di monitorare la carta di credito, controllare i risultati della squadra di calcio preferita o prenotare un viaggio alle Hawaii, ascoltare Ed Sheeran o cercare le indicazioni stradali per un ristorante, guardare i movimenti in borsa e… oh, sì, anche guardare la Bibbia… che si trova lì dentro assieme ad altri migliaia di e-books.

In contrasto, quanto appare semplice e al contempo profonda una copia cartacea della Bibbia, magari rilegata in pelle e logora per l’uso continuo! Quella Bibbia spessa, quasi ingombrante, che il pastore Giovanni porta sul pulpito, rivela che egli è pronto a portare a tutti un messaggio da parte di Dio stesso.

In breve, una copia stampata delle Scritture sul pulpito rappresenta qualcosa di molto più circoscritto e focalizzato, un simbolo che rende visibile la comunicazione tra Dio ed il suo popolo, la volontà del Buon Pastore di nutrire il suo gregge.

 

Analfabetismo biblico tra le sedie

In secondo luogo, il tablet potrebbe, sebbene suoni strano, incentivare un certo analfabetismo biblico fra i credenti. Sembra assurdo, senza dubbio. In fondo, come può un tablet colmo zeppo di strumenti di ricerca, tra cui una copia digitale delle Scritture ed infinite altre risorse… produrre un analfabetismo biblico?

Uno dei limiti più rilevanti di un testo digitale è che, mentre te ne stai comodamente seduto con il tuo iPhone o smartphone, esso annulla la necessità di sfogliare i vari libri che compongono la Bibbia alla ricerca del brano del sermone. Quando il predicatore dice “Aprite le vostre Bibbie su…”, la persona in questione si limita a cliccare su un link oppure a digitare il brano in una casella di “Ricerca”. Ne consegue ciò che, come docente di un’Università Cristiana, continuo a constatare fra gli studenti: la maggior parte di essi non sa dove siano collocati i libri nella Bibbia, né tantomeno come si sviluppi la storyline della redenzione. Molti credenti non hanno più la capacità di vedere un brano nel suo contesto. Di conseguenza, queste competenze bibliche “fuori moda”, ma assolutamente basilari si stanno perdendo.

Perfino gli studenti secolari, come Nicholas Carr (Internet ci rende stupidi? 2011) e Mark Bauerlein (The Dumbest Generation, 2008) appurano questo fenomeno riguardo ai libri digitali. Come spiega John Bombaro, questi autori, così come molti altri, arrivano alla conclusione che abbiamo ormai adottato un “approccio mutilato ai testi scritti, non avendo più una visione periferica di ciò che contiene la pagina successiva né la capacità di orientarci nella progressione lineare dell’intero testo”. Questo approccio “allena la mente a ragionare in modo puramente pragmatico, distaccato dal contesto e frammentario”. Pertanto, quando si tratta delle Scritture, l’abbandono del testo stampato comporta la perdita di una “visione lineare e progressiva dell’intera storia”, dal momento che “i testi digitali si contrappongono ad una comprensione totale della Bibbia e ad una visione che ne includa il quadro generale”.

 

In carne ed ossa

Terzo aspetto, il tablet può minare la natura spazio-temporale della chiesa. Quando un membro si trova in piedi di fronte all’assemblea, leggendo il brano del sermone da un tablet, qualcosa manca all’appello, come se fosse sceso in campo qualcosa privo di vita. Di nuovo, Bombaro osserva: “I testi digitali sono effimeri; essi sono ontologicamente manchevoli”. Sono simili a dei “non luoghi”, lamenta Bombaro.

Questo dovrebbe quantomeno infastidirci, dal momento che siamo esseri fisici che si radunano in assemblea in un luogo tangibile. Vediamo con i nostri occhi un ministro di culto in carne ed ossa che predica di un Dio che, sebbene invisibile, si trova realmente con noi come Signore del tempo e dello spazio. Questo Dio ha rivelato sé stesso mandando il suo proprio figlio in un vero corpo, in carne ed ossa.

 

Richiamo visivo

Quarto aspetto. Quando la natura spazio-temporale della Scrittura viene rimpiazzata da un testo digitale che occupa uno spazio cibernetico ed effimero, entra in gioco un’imbarazzante inconsistenza che stride con la fisicità del battesimo e della Santa Cena del Signore. Nella storia della Riforma, gli evangelici hanno supportato a lungo i tre segni di grazia che caratterizzano la chiesa: la proclamazione della Parola di Dio, il battesimo e la Santa Cena. Perché il battesimo non viene amministrato privatamente? Perché la Santa Cena non può essere consumata da soli? La risposta è che permane una dimensione corporale in questi segni della grazia di Dio, e la chiesa si occupa di testimoniare il Vangelo nelle acque del battesimo e di vivere collettivamente il ricordo della carne e del sangue di Cristo rappresentati dai simboli del pane e del vino. La materialità di questi segni richiama visivamente alle nostre menti che siamo responsabili verso questo Vangelo così come lo siamo gli uni verso gli altri.

Accade lo stesso per la Parola di Dio. La Scrittura, predicata e letta, ci insegna, ci riprende e ci educa alla giustizia in modo che siamo preparati per ogni buona opera (2 Timoteo 3:16-17). Se il battesimo e la cena del Signore diventano privi di vita quando ne rimuoviamo la materialità, non corriamo un rischio del tutto simile quando rimuoviamo la presenza spazio-temporale della Parola di Dio dal popolo di Dio? E se dovesse entrare un non credente per la prima volta, capirebbe che siamo il popolo del Libro?

 

Comunicazione non verbale

Quinto aspetto. Quando lo smartphone o l’iPad (o qualunque sia il nome del vostro dispositivo mobile) sostituisce una copia stampata delle Scritture, c’è qualcosa che viene a mancare nella nostra comunicazione non verbale nei confronti dei non credenti che ci osservano. Quando entri in una chiesa, quando prendi posto sull’autobus, o quando fai discepolato con qualcuno al tavolino di un bar, la presenza di una copia della Bibbia lancia un messaggio forte e audace a chi ti passa accanto, comunicandogli la tua identità come seguace di Cristo. Senza parole, stai affermando: “Si, sono un cristiano e credo che questo libro sia la Parola di Dio che ci dice chi siamo e come dovremmo vivere”.

Se non mi credete, portate con voi una copia fisica della Bibbia sul prossimo aereo che prenderete, e quando vi sarete seduti di fianco ad altri passeggeri, piazzatela ben in vista sulle vostre ginocchia. Notate le reazioni: sarebbero meno evidenti se pronunciaste il vostro codice fiscale a voce alta a tutto l’aereo. Generalmente, il passeggero alla vostra sinistra potrebbe sentirsi a disagio alla sola vista del testo, potrebbe mettersi sulla difensiva assumendo un atteggiamento schivo. La persona alla vostra destra, però, potrebbe intavolare immediatamente una conversazione, aprendo la possibilità di condividere il Vangelo.

Il punto è questo: se noi, come cristiani, abbandoniamo il testo fisico delle Scritture nelle nostre assemblee, quante occasioni perderemo quando non ci sarà più nessun libro tra le nostre mani mentre stiamo di fronte ad un mondo caduto e diretto verso la morte?

Indubbiamente, i miei ammonimenti toccano dei nervi sensibili provocando disagio e irritazione. Offendere il nostro uso della tecnologia è uno dei sette peccati capitali del ventunesimo secolo. La tecnologia si infiltra in qualunque ambito della nostra vita e lo satura, arrivando a definire chi siamo, nel bene e nel male. Ma questo sottile cambiamento non sta forse cambiando il nostro modo di leggere le Scritture? Non sta silenziosamente rimuovendo il punto centrale della nostra adunanza locale? Io credo di sì. E sebbene io non abbia mai pensato di doverlo dire, concludo con la seguente esortazione: Caro pastore, porta in chiesa la tua Bibbia!

 

Traduzione a cura di Eugenia Andrighetti

 

 

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Matthew Barrett

Matthew Barrett

 

Matthew Barrett è l’autore di “None greater: the undomesticated attributes of God”. E’ professore di teologia cristiana al “Midwestern Baptist Theological Seminary” ed editore della rivista “Credo”, dove espone la sua rubrica podcast Credo.

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