Alla scoperta del cuore della Riforma

 

 

Le trombe squillavano mentre il carro coperto attraversava le porte della città. In migliaia si accalcavano ai lati della strada per vedere il loro eroe, molti altri agitavano la sua immagine dalle finestre e dai tetti.

Era la sera di mercoledì 16 aprile 1521, e Martin Lutero stava entrando nella città di Worms.

Sembrava un ingresso trionfale. Ma Lutero sapeva dove potevano portare questi ingressi trionfali. In realtà, stava per essere processato a rischio della sua vita e, come Gesù, si aspettava la morte. Aveva attirato su di sé le ire della chiesa perché insegnava che il peccatore, ponendo semplicemente la propria fede in Cristo, avrebbe potuto, malgrado i suoi peccati, avere la certezza di essere perdonato da Dio.

 

I suoi libri erano già stati dati alle fiamme, e i più si aspettavano che di lì a qualche giorno anch’egli avrebbe fatto la stessa fine. Lutero era comunque deciso a difendere i propri insegnamenti: “Cristo vive,” disse, “e noi dobbiamo entrare a Worms nonostante tutti i cancelli dell’inferno”. Il giorno dopo, l’araldo imperiale venne all’alloggio di Lutero per scortarlo al processo. La folla era così fitta che l’araldo fu costretto a far entrare Lutero di nascosto nel palazzo del vescovo attraverso corridoi secondari sul retro. Ma anche così non passarono inosservati. Molti si arrampicavano persino sui tetti, spinti La fiamma inestinguibile dal desiderio di vedere con i propri occhi.

 

Alle quattro del pomeriggio, Lutero entrò nella sala del tribunale; e per la prima volta il figlio di un minatore di Sassonia, vestito con il suo umile abito da monaco, affrontò Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, signore di Spagna, Austria, Borgogna, Olanda, Italia settentrionale e meridionale, e “Viceré di Dio sulla terra”. Quando vide il monaco, l’imperatore, fiero difensore della chiesa, mormorò: “Costui non farà mai di me un eretico”.

A Lutero fu ordinato di non parlare finché non gli fosse stato permesso. Poi, il portavoce del re, indicando la pila dei libri di Lutero messi su un tavolo di fronte a lui, gli disse che era stato convocato per vedere se confermasse di essere davvero lui l’autore dei libri pubblicati a suo nome e, se era così, se volesse ritrattare. Con un tono basso di voce, che il pubblico stentò a udire, Lutero ammise che i libri erano suoi. Ma poi, sbalordendo tutti, chiese più tempo per decidere se ritrattare oppure no.

 

Sembrava che stesse per fare marcia indietro. In realtà, Lutero si aspettava di dover chiarire alcune cose specifiche che aveva insegnato; non immaginava che gli fosse chiesto di rigettare tutto ciò che aveva scritto. Aveva bisogno di più tempo per pensarci. Malvolentieri, gli fu accordato un solo giorno per riflettere, dopodiché fu avvisato che l’avrebbe pagata cara, se non si fosse pentito. Il giorno seguente, si fecero le sei di sera prima che Lutero fosse riammesso alla presenza dell’imperatore.

 

La sala era gremita di persone. Nell’oscurità del raduno furono accese delle torce, che però rendevano l’aria di un caldo soffocante. Per questo motivo Lutero era in un bagno di sudore. Fissandolo, tutti si aspettavano che egli presentasse le sue scuse e chiedesse perdono per la sua odiosa eresia. Ma non appena Lutero cominciò a parlare, fu chiaro che non sarebbe andata così. Questa volta parlò con voce forte e squillante. Affermò di non poter ritrattare i propri attacchi ai falsi insegnamenti, perché ciò avrebbe dato ancora più potere a coloro che in quel modo avevano distrutto la fede cristiana.

 

“Buon Dio, che razza di strumento di male e tirannia io diverrei!” Nonostante un adirato “No!” da parte dell’imperatore, Lutero continuò, chiedendo, semmai fosse in errore, di essere smentito mediante la Scrittura; soltanto allora, egli promise, sarebbe stato il primo a bruciare i propri libri. Gli fu chiesto un’ultima volta se volesse ritrattare i suoi errori, e allora concluse in questo modo: “Io sono vincolato dalle Scritture che ho citato e la mia coscienza è prigioniera della Parola di Dio. Non posso e non voglio ritrattare nulla, perché andare contro coscienza è disonesto e pericoloso. Non posso fare diversamente. Qui io sto! Che Dio mi aiuti! Amen”. [Traduzione letterale dall’inglese – N.d.R.]

La sua non era una semplice rabbia. Per Lutero, era la Parola di Dio che l’aveva liberato e salvato. Non aveva altra sicurezza. Ma, insieme a questo, mostrò anche tutto il suo coraggio nel restare fermo quando il portavoce dell’imperatore lo accusò con foga di essere arrogante, dato che credeva di essere l’unico a conoscere la verità. In effetti, a quel punto sembrava che Lutero fosse solo contro il mondo. Poi, due soldati lo scortarono dall’aula del tribunale, in mezzo a gente che gridava: “Al rogo!”.

Una gran folla li seguì fino al suo alloggio.

Quando arrivò nelle sue stanze, Lutero alzò le mani, sorrise e gridò: “Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!”; poi, rivolgendosi a un amico, gli disse che, se anche avesse avuto mille teste, avrebbe preferito che gliele mozzassero tutte, piuttosto che abbandonare il suo evangelo. Nell’aula del tribunale, intanto, l’imperatore dichiarò che un monaco che si schierava da solo contro tutta la Cristianità non poteva che essere in errore, e perciò aveva deciso di giocarsi “su questa causa il mio regno e le signorie, i miei amici, il mio corpo e la mia anima”.

 

Il dado era tratto. La Riforma era cominciata.

 

E quella sera, Lutero aveva fatto ben più che scrivere una pagina di storia: aveva lanciato una sfida per tutte le future generazioni.

 

 

Questo articolo è tratto dal libro La Fiamma Inestinguibile di Michael Reeves pubblicato da Coram Deo.

 

La fiamma inestinguibile

Tematiche: Biografie, Cristianesimo, I nostri libri, Riforma

Michael Reeves

Michael Reeves

 

Vive nel Regno Unito e attualmente è presidente e professore di teologia alla Union School of Theology. Conferenziere internazionale, è autore di diversi libri tra i quali La fiamma inestinguibile, edito da Coram Deo.

 

 

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